La disruption e la leggendarietà del Brand
Parla Emanuele Sacerdote Soulside, Founder
Qual è la sua definizione di disruption?
«Per rispondere utilizzerò la definizione di Jean-Marie Dru che nel 1998 pubblicò il primo libro sul tema. “La disruption consiste nel trovare l’idea strategica che infrange una convenzione, con lo scopo di creare una visione nuova o di dare nuova sostanza a una visione esistente”.
Questo concetto, che mi sembra molto contemporaneo, è stato uno degli elementi alla base del mio saggio sulla leggendarietà di un brand. In estrema sintesi, la mia interpretazione è che alla base del diventare leggenda ci deve essere un progetto imprenditoriale capace di creare una discontinuità rispetto al passato. Se rileggiamo la storia di alcuni marchi leggenda scopriamo che l’intenzione iniziale era appunto l’affermazione di una discontinuità. Per esempio, Tesla ha saputo formulare un progetto imprenditoriale talmente dirompente che i leader di mercato (Audi, Mercedes, Bmw) hanno dovuto modificare la loro gamma di prodotti per rincorrere e recuperare il tempo perduto».
Andiamo più in profondità. A suo parere qual è l’essenza della discontinuità?
«La capacità di immaginare l’assente. Questa è la pura linfa vitale per creare qualcosa che non esiste ancora. L’idea dell’assenza vuole dire cercare fuori, trovare nuovi significati e nuove regole. Quando continuiamo a pensare nel rispetto delle consuetudini e delle abitudini sarà molto difficile identificare nuove soluzioni. È mia ferma convinzione che tutte le decisioni nascano dal desiderio di risolvere un problema, di placare un’ambizione oppure di colmare un vuoto e che questo desiderio faccia nascere e germogliare l’immaginazione».
Qual è l’elemento di congiunzione tra la discontinuità e la leggendarietà?
Molto semplicemente (si fa per dire) concepire un prodotto che sia irripetibile, basato su una creatività commerciale eccezionale e distintiva e che possa aspirare a diventare un nuovo concetto, un nuovo standard, una nuova vocazione. Successivamente, se il mercato accetta, consacra e celebra questa creatività commerciale come unica e straordinaria, allora il marchio può aspirare a entrare nell’olimpo delle leggende. Il significato sostanziale di questo tipo di creatività è pari a quella scientifica che produce invenzioni (Guglielmo Marconi e la radio senza fili) e a quella artistica che realizza opere d’arte (Raffaello Sanzio e la Madonna col bambino)».
Per sintetizzare ulteriormente, qual è la sua definizione di marchio leggendario?
«Mi piace pensare che il legendary brand esprima un’alchimia essenziale composta da irripetibilità, scalabilità e fascino, quali fattori portanti e caratterizzanti che forgiano l’identità e il vantaggio per diventare leggenda. Come scrivo anche nell’apertura del mio ultimo libro, pochi possono essere considerati bellezze. Pochissimi possono essere considerati capolavori leggendari. Per rispondere precisamente alla domanda, la mia definizione è marchio pienamente famoso e popolare grazie a un’incontrastata identità e a un posizionamento strategico unico e distintivo originato da un gesto epocale ed epico, consacrato socialmente attraverso varie generazioni. Questo brand e il suo gesto sono spontaneamente associati a un unico dirompente miglioramento e/o innovazione incrementale di prodotto che ha generato un consistente e superiore vantaggio competitivo. Successivamente, questo gesto originario si evolve in pura, consacrata ed esclusiva identità e in significato di valore economico ed emozionale tale da consolidare e sedimentare il brand nel tempo come leader autorevole della propria categoria merceologica».
Oltre alla creatività commerciale quali sono gli altri elementi imprescindibili per essere leggenda?
«Oltre ai già menzionati, sicuramente il più determinante è il fondatore. Senza lui non ci sarebbe leggenda! Tutte le leggende hanno un padre fondatore! La storia di un brand, oltre a essere la storia di un gesto di creatività commerciale, è sempre una vicenda di persone e questa regola è ancora più valida per i brand leggendari. Il fondatore è la personalità più interessante da comprendere. Indubbiamente è una persona di grande carisma con un temperamento “contrarian” e con la grande abilità di sapere immaginare e realizzare il superamento di una consuetudine. A mio avviso per capire la natura del progetto imprenditoriale, come nell’arte o nella scienza, bisogna appunto investigare la sua intenzione originaria, la sua esperienza e l’idea progettuale di rompere qualche schema».
I fondatori sono tutti uguali?
«Assolutamente no. Hanno prerogative molto simili, cioè vogliono costruire un progetto imprenditoriale, ma la loro personalità e il loro agire sono molto diversi, esattamente come i personaggi importanti della storia (da Michelangelo Buonarroti a Napoleone Bonaparte, da Gandhi a Winston Churchill). Per concettualizzare le diverse personalità ho provato a descrivere cinque profili: il Condottiero-Imperatore (Giovanni Agnelli, Thierry Hermès, Giorgio Armani), il Guerriero-Conquistatore (Jeff Bezos, Leonardo del Vecchio, Rupert Murdoch), l’Avventuriero-Innovatore (Michele Ferrero, Steve Jobs, Enzo Ferrari), il Mago-Scienziato (Elon Musk, Richard Branson, Dietrich Mateschitz) e il Filantropo-Mecenate (Bill Gates, Miuccia Prada, Brunello Cucinelli). Analizzando queste categorie, l’appartenere all’una o all’altra è solo una semplice casualità. Dipende tutto da quando si nasce: se Enzo Ferrari, invece di essere di essere venuto al mondo nel 1898, fosse nato un secolo prima non avrebbe potuto costruire belle automobili, ma probabilmente avrebbe fatto un altro progetto imprenditoriale e sarebbe diventato comunque una leggenda».
Il ruolo del fondatore è essenziale. Che cosa succede quando non c’è più?
«Nella mia interpretazione, per essere leggenda devi sapere costruire un progetto imprenditoriale che sia capace di durare nel tempo mantenendo e rigenerando il fascino, la formula, il prestigio e l’apprezzamento. Se una leggenda sfuma alla morte del fondatore evidentemente non aveva gli elementi e la spinta necessari e sufficienti per proseguire ed entrare nell’olimpo. Non ho la formula magica di elisir di lunga vita, ma la leggenda dovrebbe essere in grado di migliorare e rinnovare la discontinuità cognitiva originaria, il consenso e la sedimentazione ultra-generazionale e infine mantenere una longeva consacrazione e celebrazione pubblica. Nel mio saggio ho esaminato Chanel, Ikea, Vespa, Ferrari, Armani, Apple, Google e Tesla, che dal mio punto di vista sono capolavori incontrastati di grande bellezza e leggendarietà. Ovviamente non solo i soli!».
Quali suggerimenti darebbe alle aspiranti leggende e alle nuove start-up?
«Non pensate in modo autoreferenziale, sarà il mercato che vi consacrerà se avete i connotati del potenziale leader prima e della leggenda dopo: magari siete troppo in anticipo o forse troppo in ritardo. Concentratevi e investite sulla vostra capacità di immaginare e di incidere improrogabilmente nel vostro mercato trovando nuovi significati e nuove traiettorie.
Il mercato ha bisogno di leggende e di leader».