Limiti cognitivi, machine learning e intelligenza artificiale. E se le macchine ci assomigliassero?

A cura di Ruggero Bertelli, Professore associato di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università di Siena, dove insegna Tecnica Bancaria, Gestione dei rischi di credito e Active Portfolio Management.

Come è noto, manifestiamo sistematicamente una forte resistenza al cambiamento. In questo contesto, le spinte al mutamento si rafforzano e si concentrano proprio sui punti più “resistenti”: le posizioni di rendita, le comode rassicuranti abitudini, la prudenza più stagnante. Ecco allora che la disruption esprime tutta la sua potenza.

«Sebbene la tecnologia continui a migliorare, ci sono ancora molte cose che gli esseri umani possono fare in modo molto più efficace rispetto ai computer, come moderare i contenuti, eliminare i dati ridondanti o fare ricerca».

Chi può aver detto una simile frase nel 2019?
Viene da pensare a qualche anziano signore che non ha ancora capito la velocità con la quale la tecnologia sta trasformando il modo di elaborare le informazioni, di giungere all’individuazione di problemi nascosti e di trovare in tempo reale una soluzione. O forse “la” soluzione.
Mentre la nostra mente rimane impastata nei propri limiti cognitivi ed emotivi, mentre noi umani cerchiamo scorciatoie, incapaci di trovare soluzioni rigorose, o di trovarle in tempi adeguati, le fredde, razionali, macchine sono già arrivate al cuore del problema, lo hanno esaminato e risolto. Avanti il prossimo.

Forse la frase di apertura è di qualche famoso filosofo, di un musicista ispirato, di un noto poeta che crede difficile che una macchina possa realmente pensare e creare. Sarebbe comprensibile.

E invece la frase che ho riportato è scritta in un sito internet di Amazon! Si tratta di Amazon Mechanical Turk.

L’altro giorno ho scaricato una app che riconosce le piante. Basta inviare una foto della foglia ed ecco la risposta. Ma chi fornisce la risposta? Sarà mica un essere umano che sfoglia un libro? Impossibile. E se fossero 10 mila esseri umani davanti a un pc collegato a internet?

Strani pensieri di un anziano signore. Sarebbe come credere che dentro i bancomat ci siano persone che contano i soldi. Assurdo.

Eppure, facciamo questo esercizio. Guardiamo una foto e chiediamo a un essere umano se nella foto ci sono esseri umani. La risposta è facile da fornire. Anche se le illusioni ottiche dimostrano che potrebbe sfuggirci qualcosa.
Ma non è questo il caso.

Un computer sarebbe in grado di darci una risposta? Dobbiamo fargli un corso di riconoscimento delle immagini. Gli sottoponiamo milioni di fotografie dove ci sono esseri umani e dove non ci sono, dicendo in quali ci sono e in quali non ci sono. Alla fine, ci riesce. Certo, che fatica! Facciamo prima a insegnare a nostro figlio ad andare in bicicletta.

E infatti su internet noi alleniamo i computer (gratis, senza saperlo) a riconoscere immagini, che sono banali per un essere umano, difficilissime per un pc. I famosi Captcha.

Tempo sprecato? Non proprio. Il machine learning e il data mining producono i loro frutti. Magari il pc riuscirà a fare una cosa che per noi non è semplice: quante sono le persone presenti in questa foto? Quando un computer ha imparato qualcosa diventa bravissimo (e velocissimo) nel farla. Molto più bravo (e decisamente più veloce) dell’insegnante.

Il contesto è adesso più chiaro. Abbiamo bisogno di migliaia di uomini che insegnino alle macchine come venire a capo di problemi che le persone sanno risolvere, ma in modo inefficiente, commettendo errori, con un livello di affidabilità non misurabile ex ante. E poi, diciamolo, l’uomo costa!

Si spiega allora il Mechanical Turk di Amazon. Facciamo la foto della pianta, la inviamo sulle nuvole, un uomo risponde che pianta è facendo una ricerca su Google e intanto il computer apprende. E un giorno non ci sarà più bisogno di uomini che riconoscano le piante.

È giunto il momento di raccontare una storia. L’Economist in uno splendido podcast narra di The Turk, noto anche come Mechanical Turk. Un automaton chess player, un automa in grado di giocare a scacchi, bravo come un Turco, realizzato nel 1770 da Wolfgang von Kempelen. Una macchina intelligente, in grado di superare gli uomini in un’attività certamente molto complessa. La macchina era in grado di vincere una partita di scacchi muovendo le pedine e reagendo platealmente con movimenti del capo a mosse non consentite.

Prima delle esibizioni la macchina veniva fatta ispezionare. Veniva aperta per mettere in mostra i suoi complessi meccanismi, nascosti da sportelli e cassetti. Aveva un aspetto “umano”, ma nessuna attività umana era rilevabile all’interno. Sembrava effettivamente dotata di intelligenza, oltre che essere una meraviglia della meccanica. Un meraviglioso, complesso, perfetto orologio pensante.

E infatti in qualche esibizione venivano fatte svolgere al Turco altre prove. Riusciva persino a interagire con le persone rispondendo ad alcune domande in inglese, francese e tedesco, utilizzando una tabella. Non aveva il dono della parola, dunque; ma forse nel 1800 non era necessario per stupire il pubblico.

Si racconta di un successo enorme in varie piazze europee, dove venivano organizzate le sfide tra i campioni di scacchi e The Turk. Sembra che anche Napoleone I abbia sfidato The Turk nel 1809, perdendo. The Turk è andato in tournée anche in America, giocando a New York, Boston, Richmond. The Turk aveva una caratteristica interessante per una macchina: ogni tanto perdeva contro un essere umano. Proprio come un essere umano. Incredibile!

The Turk ci lasciò il 5 luglio 1854 tra le fiamme di un incendio a Philadelphia.

Finalmente nel 1857 viene pienamente svelato un mistero durato quasi 100 anni. Anche se molte malelingue avevano già insinuato che dietro il Turco potesse esserci un abile trucco. Senza però poterlo dimostrare, sembra.

In realtà, mi pare difficile che si sia potuto credere in questo “miracolo”. Ma non ho approfondito, onestamente, i dettagli della storia. Però, è noto che spesso si crede in ciò che si vuol credere o in ciò che serve credere. La ricerca di conferme fa il resto.

Per farla breve, dentro The Turk c’era un turco per davvero. Beh, forse non era proprio un turco, ma un giocatore di scacchi in carne e ossa, abilmente nascosto attraverso un sistema di specchi.

The Amazon Mechanical Turk! Ma certo. Tutti crediamo alla potenza delle nostre App, che fanno cose meravigliose, quasi incredibili e commentiamo “Ha riconosciuto la pianta… la potenza dell’intelligenza artificiale” e poi c’è un turco (mal pagato, sembra) che sfoglia un libro.

Ho rintracciato su internet, con l’aiuto di mio figlio, la vera storia dell’intelligenza artificiale.

Secondo questa ricerca, Ai è ancora nella sua infanzia, nonostante anni di ricerca. Occorre che gli Ai systems imparino a spiegare le proprie decisioni, così noi esseri umani possiamo comprenderli meglio e approfondire la ricerca di come essi pensino.

Quando ho letto questa frase mi sono venuti i brividi. Ho ripensato a “Io, Robot” e alle tre leggi della robotica. Poi mi è venuto in mente Matrix, pensando alla Mechanical Turk di Amazon e alle Captcha, che sembra voglia dire: “Ti ho beccato!”. Noi alimentiamo le macchine con i nostri dati e loro stanno velocemente imparando.

Poi ho pensato al Turco. E concludo: dentro una macchina ci sarà sempre un uomo. Speriamo.

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Professore associato di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università di Siena, dove insegna Tecnica Bancaria, Gestione dei rischi di credito e Active Portfolio Management.

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