Non solo ambiente, anche impatto sociale
Claudia Segre è la presidente di Global Thinking Foundation, fondazione che, in collaborazione con enti, sia pubblici, sia privati, è impegnata nella diffusione e nell’applicazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Global Thinking Foundation nasce nel 2016 per iniziativa di Claudia Segre, per sostenere, patrocinare e organizzare iniziative e progetti che abbiano come obiettivo l’alfabetizzazione finanziaria rivolta a tutta la cittadinanza, con un’attenzione particolare alle donne e alle nuove generazioni. Essa opera in un contesto internazionale secondo un modello di attività filantropica no profit al servizio della comunità.
Qual è lo stato della parità di genere nelle aziende italiane?
«Ormai le attività aziendali si legano sempre più ai criteri Esg e la parte che riguarda l’impatto sociale delle attività, la S di Esg, è un aspetto che sinora in Italia non è mai stato applicato o sondato. Tra i parametri che fanno riferimento all’ambito sociale, sicuramente i diritti civili e lavorativi, incluso il welfare aziendale, sono al centro di quello che è il grande cambiamento che, come ente del terzo settore, stiamo osservando, insieme a un impegno collettivo indirizzato a rispondere alle richieste degli utenti, della clientela, del target cui l’azienda si rivolge, sempre più attento a questi tre criteri. Certo, l’argomento è di moda, ma, se rimane tale, diventa un’esperienza di facciata di nessuna efficacia. Ciononostante, sui diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, ci sono alcuni rimandi forti all’articolo 37 della Costituzione Italiana. Sono presenti anche riferimenti precisi nell’ambito dei bilanci sociali, quando si parla di gender budgeting, cioè quella parte che riguarda i diritti soprattutto in materia di parità di genere, che hanno una sottolineatura particolarmente importante per l’azienda. Inoltre, l’attenzione delle imprese nei confronti dei propri dipendenti sui temi della diversità, dell’inclusione, in un Paese dove siamo ben lontani da una vera parità di genere, richiede un grande sforzo. C’è indubbiamente una sensibilità crescente, dietro la quale è presente anche un discorso reputazionale importante per le aziende, che sprona ad adottare nuove pratiche di comportamento».
La pandemia non ha certo migliorato la situazione
«Lo scoppio del Covid-19 ha provocato un generale aumento delle diseguaglianze e quella di genere è diventata tangibile agli occhi di tutti. Sono quindi necessarie risposte, così come si è visto all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), dove il riferimento al genere ha una presenza molto importante e, finalmente, anche all’interno delle stesse politiche aziendali, con particolare riferimento alla componente “s” dell’acronimo Esg. Ovviamente, i problemi derivano anche dalla distribuzione del reddito, dall’accesso a risorse quali il digitale, la formazione e i servizi per le famiglie, perché c’è una diversità territoriale dove ogni regione ha affrontato questo tipo di sensibilità post Covid in modo differente».
Che cosa avete visto dal vostro osservatorio?
«Dal nostro osservatorio, sia per quanto riguarda la parte di impegno sociale al welfare aziendale, sia dalla parte del “fintech for good”, ossia soluzioni It a impatto sociale al servizio della clientela, notiamo un cambiamento di attitudine che è una forte speranza che si vada oltre quella che può essere semplicemente una scelta di facciata, che lasci un segno e vada nella direzione di lasciare un impatto misurabile ed efficace nel tempo, come richiesto dai criteri Esg».
Che cosa le fa pensare che questo cambiamento di atteggiamento segni una vera e propria svolta?
«Global Thinking Foundation è un progetto internazionale che allarga il suo sguardo al resto d’Europa e agli Stati Uniti d’America. In questa nazione abbiamo visto i consumatori fare scelte ben precise: circa il 50% della motivazione nella scelta di un prodotto si indirizza verso quelle aziende che non solo fanno dichiarazioni sul sito, ma compiono atti tangibili di responsabilità sociale: dalla protezione dei dipendenti alle politiche di welfare aziendale e sanitario, nell’abbracciare appieno i valori della sostenibilità. Questo tipo di sensibilità si sta diffondendo anche in Europa e si manifesta nei risparmiatori, negli investitori e nei consumatori. È un’onda lunga che non può lasciare le imprese indifferenti, perché, se non riescono a cogliere questo messaggio, rischiano di vedere compromessa la propria crescita, il proprio sviluppo e anche la propria esistenza. Anche il mondo della finanza ne è stato toccato e sta reagendo positivamente: la sostenibilità non viene considerata una cornice entro la quale operare, ma l’essenza di un mutamento da cui bisogna passare. Inoltre, non dimentichiamoci che, aspetto di non poco conto, la parità di genere è uno dei cardini e pervade tutti i 17 obiettivi dell’agenda 2030».
Tuttavia, dalle indicazioni che emergono dal mercato del lavoro italiano, durante e post Covid, si è visto che le fasce occupazionali più deboli e, in particolare le donne, sono quelle che sono state più colpite dalla crisi.
«Questo è il vero problema. Da una parte i consumatori avanzano diverse richieste in termini di requisiti, dal green al social impact, alle aziende, e dall’altra queste ultime hanno capito che il pilastro sociale ha un ruolo fondamentale, soprattutto in un momento in cui sono cresciute le diseguaglianze; la loro responsabilità in merito è un aspetto dirimente e, a questo punto, lo diventa per gli azionisti. Il punto debole qual è? Che gli ultimi a essersi accorti di tutto ciò sono i governi che investono poco nelle politiche sociali. Perciò, affinché le nuove esigenze emerse possano andare ad alimentare un processo virtuoso di grande cambiamento, è necessario che si passi da una mentalità del sussidio a una dell’investimento lungimirante o di lungo termine. Ciò significa, per fare alcuni esempi concreti, portare a termine la legge sul terzo settore, stendere una legge sul volontariato, fare in modo di favorire il passaggio generazionale a livello lavorativo all’interno delle aziende, garantire la parità di genere salariale e delle carriere».
E il livello di occupazione femminile in Italia?
«Il punto focale, in Italia, è che l’occupazione femminile è scarsa, sotto il 50%, mentre in Europa è al 67%. Questo differenziale diventa un ostacolo per le donne a partecipare attivamente a qualsiasi processo di rinnovamento e a cogliere le opportunità che esso genera. Diventa quindi fondamentale concentrarsi sulla spinta alla crescita e alla ripartenza del nostro Paese, perché essa diventi una priorità: ci sono tutte le condizioni affinché il contributo del lavoro femminile porti a consolidare i numeri del cambiamento».
La situazione italiana è ascrivibile solo a un vuoto della politica e del legislatore o anche a fattori di carattere culturale?
«Indubbiamente il retaggio culturale esiste ed è un problema italiano. Il cambio di passo avviene nel momento in cui si accetta che il ruolo sociale delle donne è mutato nel tempo e per il meglio di tutti, e che tutte le lotte che sono state fatte non possono che portare a un’uguaglianza di opportunità. Il fatto che nessun partito si sia impegnato, nei fatti, sulla questione della parità salariale, nonostante sia garantita dalla Costituzione, è un segno di come la cultura sino a oggi abbia fatto da argine a un impegno politico serio. Quindi c’è una componente culturale importante ed è per questa ragione che Global Thinking Foundation lavora con le famiglie e nelle scuole, proprio perché l’educazione civica e l’analisi dei diritti, partendo da coloro che sono lavoratrici e lavoratori, sino all’educazione ambientale, sono pilastri fondamentali sui quali creare un cambiamento culturale unitamente a un rafforzamento della cultura finanziaria. E per fare ciò, bisogna partire dai bambini, che saranno gli adulti di domani».
A proposito di ripresa del nostro Paese, all’interno del Pnrr si leggono impegni significativi in merito alle politiche di genere?
«Nel Pnrr, che necessita di un completamento con le riforme promesse, vediamo che la declinazione sulla parità di genere è evidente in vari ambiti. Quelle che sono poi alcune allocazioni di risorse, come ad esempio in campo educativo (dagli asili alle università, passando per i ricercatori e le accademie), si riferiscono a un settore lavorativo in cui la presenza di mano d’opera femminile è preponderante. Bisogna quindi guardare ai numeri, tenendo conto che si è partiti da quei settori dove c’è una forte presenza di donne per dare una spinta all’occupazione femminile più ampia anche su altri settori ove langue. L’unica nota stonata, dal mio punto di vista, è quella che riguarda la cultura scientifica. Nel Pnrr essa viene indicata con un virgolettato, che fa sorgere il dubbio della presenza di un retaggio per il quale le materie tecnico-scientifiche non siano considerate così fondamentali, così come la rivoluzione digitale in corso invece richiede. Lo sforzo di Global Thinking Foundation, con la formazione all’interno delle scuole dedicata alle competenze trasversali e digitali, va nel senso di cogliere una sfida su questo tipo di competenze, in cui il Paese è arretrato, come una priorità sulla quale lavorare sin dalla tenera età».
Crede che si sia di fronte a un’onda di cambiamento che si alimenta di un moto proprio?
«Penso di sì. Basta guardare i due cardini del Pnrr: la transizione ecologica e la digitalizzazione. Questi sono due temi cruciali, che hanno una valenza, sia per gli uomini, sia per le donne, e sono un buon viatico per quanto riguarda un miglioramento delle condizioni lavorative in generale per l’Italia. L’aspetto su cui bisogna lavorare maggiormente, oltre al rafforzamento del family act, cioè i servizi alla famiglia, è la parte della fiscalità per le donne. Per me sono tre i pilastri su cui lavorare: formazione, fiscalità e green. L’ambito della sostenibilità green e sociale, quello della digitalizzazione e della formazione in materie tecnico scientifiche e infine la fiscalità (un aspetto non esplicitato nel Pnrr), che solo se vedesse una comunione di intenti tra aziende e parti sociali nel defiscalizzare maternità e sostituzione di maternità, sarebbe meno penalizzante per gli imprenditori».
Si colgono segnali di maggiore sensibilità da parte delle aziende nell’implementare politiche di parità di genere. Avete come Global Thinking Foundation riscontri in merito?
«Confermo. Abbiamo recentemente completato un modulo con i dipendenti del comune di Bari e stiamo lavorando con diverse aziende proprio su questi temi di diversità e inclusione. La nostra attività coinvolge direttamente non solo i dipendenti, ma anche i loro famigliari. Rispetto agli anni scorsi, vediamo una domanda che è in crescita, sia nel privato, sia nel pubblico, soprattutto tenendo conto che, in questo secondo caso, il bilancio sociale e il gender budgeting sono obbligatori, mentre nel privato non lo sono ancora. In quest’ambito, invece, scatterebbero tutte le nuove certificazioni Esg. Credo si stia creando un circolo virtuoso che vede più soggetti coinvolti operanti in diverse sfere del tessuto economico, amministrativo e sociale maggiormente consapevoli del loro mandato sulla sostenibilità».
C’è il rischio che le certificazioni Esg, soprattutto nel caso delle piccole imprese, siano viste più come un onere che un modo per cercare valore e per difendere la propria reputazione?
«C’è un grosso problema di adeguamento del sistema delle aziende italiane proprio per la forte presenza, al suo interno, di piccole e medie imprese, di cui il 50% ha meno di 15 dipendenti. Per questo motivo, stiamo lavorando con le federazioni imprenditoriali per superare questo scoglio, affinché la certificazione sia attuabile senza troppi oneri e si diffonda tra le Pmi comunque. È senz’altro una sfida molto importante per l’Italia e per l’evoluzione della mentalità imprenditoriale del Paese».
Su quali temi si focalizzano le attività di Global Thinking Foundation nel 2021 attualmente impegnata nel Tour 2021 del progetto “Libere di vivere”?
«Nel 2020 il Tour si era concentrato sul dare la massima centralità alla prevenzione della violenza economica, quest’anno abbiamo potenziato l’impegno per un empowerment femminile tra digitalizzazione e sostenibilità e, soprattutto, vorrei ricordare che è partito il programma didattico legato a “Libere di vivere”, Avd 1.0, metodo di apprendimento visivo e digitale sui diritti civili, educazione civica e finanziaria nelle scuole tramite il nostro portale #EDU4Future per le scuole. La Fondazione è approdata nelle scuole anche in Francia, dove c’è una forte presenza della comunità italiana e vogliamo mantenere alto il livello di appartenenza culturale dei ragazzi e delle ragazze dalle scuole medie ai licei. L’arte in 3D, le graphic novel e le storie delle eroine dei fumetti che portiamo ai giovani per riflettere sulla violenza economica, sui diritti di famiglia e quelli civili, approdano a scuola sia in Italia, sia in Francia e, a fine anno, arriveranno negli stati Uniti, negli istituti statali sempre per responsabilizzare verso una maggiore consapevolezza finanziaria le nuove generazioni».