Il clima incide su tutto
Andrea Giuliacci, Meteorologo illustra i cambiamenti del clima.
Come e perché è cambiato il clima in Italia e nel mondo?
«Sappiamo con certezza che il clima è mutato a livello planetario, perché ce lo dicono i dati raccolti dagli strumenti meteo sparsi in tutto il mondo. Essi ci indicano che, rispetto alla seconda metà del XIX secolo, considerando la media del periodo tra il 1851 e il 1900, oggi la temperatura è più elevata di 1,1°C. Di per sé il dato non sembrerebbe così preoccupante, ma la verità è che, quando si parla di temperature medie annuali, un solo grado in più è tantissimo. Per fare un esempio concreto di che cosa ciò voglia dire, basta confrontare le temperature mensili rilevate per due anni consecutivi, che rimangono invariate, eccetto un solo scostamento termico significativo registrato in agosto, con circa cinque gradi di differenza rispetto alla massima riportata nello stesso mese dell’anno precedente (da 30° a 35°). Questa variazione, ripetuta nell’arco di tutto il mese, incide per soli due decimi di grado sulla media dell’anno, nonostante la portata dell’incremento sia tale da avere un impatto significativo sulla vita quotidiana in quel periodo. Negli ultimi decenni le temperature medie sono salite rapidamente, tanto da andare a modificare la stagionalità, ma non solo. Dire che c’è stato un aumento delle temperature significa che nell’atmosfera c’è una maggiore quantità di calore, il carburante utilizzato da tutti i fenomeni atmosferici per svilupparsi e maturare. Se c’è più calore, e quindi più energia nei fenomeni atmosferici, essi tendono a diventare più intensi. È per questo motivo che si assiste a perturbazioni, temporali e trombe d’aria che si manifestano con una maggiore violenza e intensità. Se si guarda all’Italia, osserviamo che, tra alti e bassi, la quantità di pioggia caduta nel nostro Paese non è cambiata molto negli ultimi 120 anni, ma sono diminuiti i giorni piovosi e sono aumentati quelli di siccità, perché sono mutate la distribuzione delle precipitazioni, sempre più concentrate in spazi di tempo limitati, e la loro intensità. Sono questi i fenomeni che portano ad affermare che il clima si è polarizzato: si passa cioè da un estremo all’altro, e non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo».
Quali sono le conseguenze di questa estremizzazione?
«La creazione di disastri, perché, sempre per fare un esempio concreto, 100 mm d’acqua sono pochi, se distribuiti in un determinato arco di tempo, ma, se cadono concentrati, il terreno può assorbirne solo una parte e la restante cerca vie di fuga, causando danni. 100 mm di pioggia che cadono nell’arco di due mesi, in modo più o meno uniforme, sono acqua che rimane sul territorio da sfruttare per usi agricoli, domestici ed energetici. Ma se la stessa quantità precipita in poche ore, dei 100 mm ne rimarranno solo due sul territorio, con un aumento dei rischi e uno spreco di risorse nelle aree coinvolte».
Quanto è importante il clima nella storia umana?
«È importantissimo. Ci sono intere civiltà che si sono sviluppate e sono finite grazie e a causa del cambiamento climatico. Un caso emblematico è quello dei Vichinghi, che sino al primo millennio erano praticamente sconosciuti in Europa. L’innalzamento delle temperatura nella parte Nord del continente portò a un miglioramento delle condizioni di vita e a un’esplosione demografica che spinse la popolazione vichinga alla ricerca di nuovi territori a sud, sino a raggiungere il Mediterraneo. Poi avvenne che, intorno al 1300, ci fu un brusco cambiamento climatico, noto come la “piccola era glaciale”, che bloccò le rotte marittime del nord Europa: i Vichinghi, che qualche secolo prima avevano conosciuto una fase di espansione, rimasero confinati nei loro territori e ritornarono nell’oblio. Basterebbe poi ricordare quanto successe ai Maya, scomparsi a causa di una siccità improvvisa manifestatasi in un arco di tempo limitato: pochi decenni sono riusciti a spazzare via una civiltà millenaria. Pensando poi a tempi più recenti, c’è un altro eclatante esempio: la Siria. Ormai la maggior parte degli analisti americani è concorde nell’attribuire lo scoppio della guerra civile siriana a cause di carattere climatico. In Siria, negli anni, si era creata una situazione abbastanza complessa legata alla presenza di numerosi profughi provenienti dalla Palestina e, nell’ultimo periodo, dall’Iraq. Qual è stata la miccia che ha fatto precipitare la situazione nel Paese? Un lungo periodo di siccità tra il 2007 e il 2011, che provocò la morte del bestiame e la perdita dei raccolti, mandando sul lastrico i contadini locali, che si riversarono a loro volta nei centri urbani alla ricerca di lavoro, che non c’era, e aumentarono così le tensioni sociali, sfociate in una guerra civile. Ma ciò che è successo in Siria non è rimasto confinato a quel territorio e, come è ben noto, le conseguenze del conflitto hanno avuto ripercussioni a livello mondiale».
Il problema è quindi il cambiamento climatico?
«Lo è, ma, in particolare, è la rapidità con cui esso avviene. Il fatto che si vada verso temperature più elevate o che ci sia anche un cambiamento nelle precipitazioni di per sé sono fenomeni che possono essere assorbiti da una civiltà, se si svolgono gradualmente e in periodi relativamente lunghi. Ma quando ciò avviene in modo repentino, si fa fatica ad adattarsi al cambiamento. Oggi crediamo che il nostro livello di evoluzione e l’utilizzo della tecnologia possano esserci d’ausilio a gestire queste situazioni, ma il problema non è avere gli strumenti, bensì avere il tempo sufficiente per poterlo fare. Le proiezioni dicono che tante città costiere saranno sempre più a rischio di eventi atmosferici, quali l’uragano Kathrina (il più costoso della storia, che ha causato danni per 100 miliardi di dollari), perché i cicloni tropicali stanno diventando sempre più intensi; anche il livello del mare si sta alzando, non lasciando così il tempo materiale per implementare misure di difesa del territorio e della popolazione. Purtroppo, in futuro dovremo attenderci un aumento di questi episodi, il cui effetto è destabilizzante. Se la tecnologia non può mettere al riparo da fenomeni atmosferici violenti, può servire però a prevenire affinché i disastri non avvengano».
Che cosa vuole dire per un meteorologo sostenibilità ambientale?
«Non si può prescindere dal progresso, motore fondamentale per migliorare le condizioni e le aspettative di vita di tutti. È chiaro, tuttavia, che si deve pensare al futuro e, di conseguenza, a come utilizzare le risorse a disposizione, ma occorre farlo in modo sostenibile. Se si consuma troppa energia, mettendo a repentaglio il futuro, non si agisce in modo sostenibile. È importantissimo utilizzare ciò che è necessario in modo efficiente, evitando gli sprechi. Per questa ragione, si deve ripensare a come utilizzare non solo le fonti energetiche, ma anche tutte le altre risorse, come ad esempio l’acqua. Si è sempre stati abituati a dare per scontata l’accessibilità a quest’ultima, ma se il clima cambia, muta anche la disponibilità di questa risorsa e diventa quindi indispensabile adottarne un utilizzo il più razionale possibile. Inoltre, proprio a causa del cambiamento climatico, la regione del Mediterraneo è una di quelle dove ci si attende che si registrerà una maggiore diminuzione della disponibilità d’acqua, perché si prevede che pioverà sempre meno e aumenteranno le precipitazioni violente e concentrate. Non significa che non ci sarà più acqua, ma deve cambiare il modo in cui essa viene utilizzata e si dovranno studiare altri metodi per trattenere quella che arriva all’improvviso e tutta insieme. È incredibile pensare che circa il 50% dell’acqua viene persa all’interno della rete idrica: è un lusso che non ci si può permettere. È proprio per tutte queste motivazioni che la sostenibilità diventa un percorso obbligatorio».
Quindi grande attenzione all’utilizzo delle risorse?
«Sviluppo sostenibile significa evitare gli sprechi e consumare le risorse senza eccedere, per evitarne l’esaurimento. Inoltre, la sostenibilità è cruciale anche per il clima, perché consumare l’energia strettamente necessaria significa inquinare meno l’atmosfera. E, a questo proposito, è bene ricordare che la causa del cambiamento climatico trova nell’uomo il maggiore responsabile attraverso l’emissione di gas serra, che tendono a trattenere calore, causando così l’aumento delle temperature e dando più carburante agli eventi atmosferici. I gas serra vengono emessi soprattutto quando si bruciano combustibili fossili come petrolio, carbone e gas. L’ideale sarebbe passare a fonti energetiche pulite, ma per fare ciò occorre tempo. Bisogna allora seguire due strade. La prima è la transizione da fonti fossili a rinnovabili o pulite, mentre la seconda riguarda l’efficientamento energetico. La transizione energetica è una vera e propria mitigazione del rischio climatico, ma da sola non basta se non c’è adattamento, ovvero adottare misure che mettano in sicurezza il territorio e la popolazione».
Quali sono gli effetti del clima sulla società?
«Il clima, oltre a ricadute di carattere economico e legate alla salute, influenza ogni singolo aspetto della vita quotidiana, più di quanto non si sia portati a credere. C’è uno studio dell’Università dello Stato dell’Iowa che mostra che con il caldo c’è un aumento dei crimini violenti, spiegabile a livello biologico con una maggiore produzione da parte dell’organismo di adrenalina e testosterone, provocata dalle temperature più elevate, che rendono le persone più aggressive. Se il caldo diventa eccessivo, i reati violenti crollano. Lo stesso studio ha elaborato alcune simulazioni sull’andamento dei crimini, legato alle previsioni climatiche più attendibili, da cui emerge che, entro la fine del secolo, quelli violenti potrebbero aumentare di 34 ogni 100 mila persone, un dato che non è certo trascurabile. Sempre negli Usa si è visto che le condizioni meteorologiche influenzano addirittura la scelta dell’automobile il giorno dell’acquisto: più decapottabili se è avvenuto con un tempo soleggiato, colori scuri se con cielo nuvoloso».
Gli eventi meteo-climatici come influenzano l’economia e la finanza?
«Quando a causa del clima si verificano eventi estremi, inevitabilmente ci sono ricadute sui costi di gestione legati alle diverse attività e, solitamente, aumentano. Le constatazioni di ciò sono tangibili. A livello finanziario, da uno studio della London School of Economics, “Climate value at risk of global financial assets”, emerge che gli investitori e le autorità di regolamentazione sono sempre più consapevoli dei rischi connessi al cambiamento climatico e che esso abbia conseguenze significative sulle attività finanziarie. Nel paper viene calcolato quale potrebbe essere l’impatto del cambiamento climatico del ventunesimo secolo sul valore di mercato (l’analisi è stata fatta nel 2016) delle attività finanziarie globali. Dagli studi emerge che, se non viene apportata alcuna modifica alle emissioni, il previsto “climate value at risk (VaR)” degli attivi finanziari è 1,8%, pari in cifre a 2,5 trilioni di dollari. Tuttavia, il vero rischio è nella coda delle simulazioni. Per esempio, il 99° percentile del “climate VaR” è 16,9%, cioè 24,2 trilioni di dollari. Se si dovessero tagliare le emissioni in modo da avere un aumento della temperatura non superiore a 2°C, il VaR si ridurrebbe dello 0,6%, mentre nel caso del 99° percentile diventerebbe dello 7,7%. In altre parole, includendo i costi di mitigazione, il valore attuale degli attivi finanziari globali sarebbe dello 0,2% più elevato quando il riscaldamento è entro i 2°C, rispetto a una situazione che rimane senza mitigazione (con “business as usual” si indica uno scenario senza mitigazione, in cui si continuano a bruciare combustibili fossili senza freni). Ma attenzione, non è detto che una variazione del clima debba essere per forza negativa, come si è visto in passato nel caso dei Vichinghi. Il vero problema è appunto la rapidità del cambiamento cui il nostro sistema di vita non è sufficientemente flessibile da potervisi adattare. Se i mutamenti avvengono con gradualità, l’essere umano può mettere in atto meccanismi che permettono un adeguamento alle nuove condizioni quasi in maniera fisiologica, altrimenti è necessario ricorrere a forzature. Basterebbe pensare alle nostre città che sono state costruite tenendo in considerazione un clima di 100 anni fa che ora, però, non è più lo stesso: i centri si trovano così inadeguati a fare fronte al surriscaldamento atmosferico e ai fenomeni a esso collegati».
Cosa si sta facendo oggi per contrastare i cambiamenti climatici?
«Direi che la transizione energetica a favore delle rinnovabili va in questa direzione, guidata dall’Europa, con l’obiettivo di zero emissioni entro il 2050. Chi sta spingendo molto nella stessa direzione, a differenza di quanto avveniva sino a 10 anni fa, è la Cina, probabilmente guidata dalla necessità di fare fronte all’elevato livello di inquinamento delle sue grandi città che non è più sostenibile per la popolazione. Nel medio-lungo periodo ci si sta muovendo in questa direzione, mentre nel breve contano soprattutto le misure di adattamento, in particolare l’efficienza energetica: abitazioni e luoghi di lavoro che richiedano un minore dispendio di energia, autovetture che utilizzino sempre meno carburante o siano completamente elettriche o, in futuro, a idrogeno. Penso che si stia facendo molto, ma il problema è che la coordinazione globale non è ancora ottimale e ciascun paese sembra avere la propria agenda. Se vengono messi a terra tutti i progetti che sono stati decisi, credo che si potranno raccogliere risultati importanti. Da questo punto di vista sono ottimista, perché penso all’esempio della Cina: quando il cambiamento è dettato dalla necessità, c’è un’accelerazione della risposta».
Qual è il ruolo della tecnologia in questo contesto?
«Gioca un ruolo fondamentale, perché la stessa transizione energetica presuppone uno sviluppo tecnologico. Si pensi solo agli studi sulla fusione nucleare, all’utilizzo dell’idrogeno pulito o piuttosto a come gli stessi autoveicoli diventano sempre più macchine efficienti».
Quali sono le possibili evoluzioni del clima nel futuro e con quali effetti?
«Il clima cambierà, anche se ribadisco la mia convinzione che l’essere umano riuscirà ad adattarsi e a fare in modo che il mutamento non sia drastico. Anche se da domani non si dovesse più emettere una molecola di anidride carbonica o di gas serra, il clima cambierebbe ancora, perché quanto è già nell’atmosfera richiederà secoli, se non millenni, prima di essere riassorbito. Se si dovessero applicare alla lettera tutte le politiche di mitigazione che sono state decise, le emissioni di gas serra nell’atmosfera salirebbero di poco: il clima cambierà ancora, ma non di molto, con temperature planetarie che cresceranno di qualche decimo di grado. Se non facessimo nulla o addirittura consumassimo più combustibili fossili, si potrebbe arrivare allora, nel peggiore dei casi, a un aumento delle temperature di 4,8°C entro la fine del secolo».
Andrea Giuliacci è nato a Roma il 19 marzo 1971. Laureato in fisica all’Università degli studi di Milano, ha successivamente conseguito il dottorato in Scienze della Terra presso l’Università Federico II di Napoli e dal 2013 tiene il corso di fisica dell’atmosfera presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Dal 1997 lavora come meteorologo presso Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995) e dal febbraio 2002 cura le previsioni del tempo in video per i telegiornali delle reti Mediaset. Dal 2018 è membro del comitato scientifico di Climetech. Collabora regolarmente, redigendo articoli riguardanti clima e meteorologia, con riviste settimanali e mensili di diffusione nazionale. È autore o coautore di diversi libri, tra cui “La meteorologia dalla A alla Z” , delle Edizioni Dedalo, “Meteo curiosità”, della Ronca Editore e “I protagonisti del clima”, “Il clima come cambia e perché”, “Global warming”, “Prevedere il tempo con Internet”, “Manuale di meteorologia” e “La Meteorologia in mare”, tutti editi da Alpha Test. È coautore di diversi articoli accademici pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazionali tra le quali Annals of Geophysics, Theoretical and Applied Climatology e The Open Atmospheric Science Journal.