Il cambiamento nasce da un lavoro in profondità

Max Monaco è un motivational coach che, come ama dire, ha aiutato oltre 20 mila «ex sedentari a «iniziare a muoversi per migliorare stile di vita, benessere e performance in modo semplice e duraturo». È stato il mental coach della cantante e campionessa paralimpica Annalisa Minetti ed è il mental coach della Maratona di Roma. È formatore e coach di oltre 100 aziende ed è speaker motivazionale di convegni nazionali e internazionali. Precedentemente si è occupato di software e computer ed è stato manager e imprenditore nel mondo dell’information technology. Be Private ha affrontato con lui il tema di come si devono affrontare i cambiamenti.

Perché è diventato un motivational coach?

«La mia storia di cambiamento è legata a un’esperienza personale, iniziata venti anni fa. Conducevo una vita sregolata e attraversavo un periodo di forte stress legato a un nuovo lavoro, che mi portava a fumare oltre due pacchetti di sigarette al giorno. Per caso incontrai un terapeuta che mi aiutò a smettere di fumare con un metodo molto innovativo. Mi disse che mi avrebbe fatto correre perché la corsa avrebbe sostituito la biochimica naturale del nostro corpo, prodotta dalla nicotina, compensandola. Parallelamente mi fece fare degli esercizi di mental training per interrompere la dipendenza psicologica dal fumo. Devo ammettere che, all’inizio, fui molto scettico, ma poi compresi, grazie anche ad alcune letture legate alla motivazione mentale, che mi veniva offerta un’opportunità. Iniziai così a correre, anche se devo ammettere che la cosa non mi recava alcun piacere; tuttavia, le letture e gli esercizi sul mental training mi spinsero a perseverare, perché comprendevo che la mente ha bisogno di tempo per cambiare. Da allora la mia vita è cambiata: ho iniziato ad amare la corsa e da allora non mi sono mai fermato, divorando contestualmente libri sul mental coaching che mi hanno poi portato a diventare un coach. Ho iniziato così a spingere verso questa attività fisica tutti coloro cui volevo bene: amici, parenti e anche coloro che erano più refrattari all’argomento.  Più facevo correre le persone, più mi accorgevo che ciò migliorava notevolmente la loro qualità di vita, grazie al superamento di una serie di resistenze e pregiudizi, e faceva crescere la loro autostima: diventavano migliori madri, padri, genitori, professionisti». 

Occorre essere motivati per affrontare il cambiamento?

«In linea generale, per affrontare un cambiamento, ci vuole una motivazione solida, altrimenti durerà molto poco. Il cambiamento dipende sostanzialmente da due elementi: il desiderio di andare verso una nuova condizione o di scappare da una vecchia. Nel gergo del coaching motivazionale si chiamano “la motivazione verso qualcosa” e “la motivazione via da qualcosa”.  Nel mio caso, per fare un esempio concreto, la motivazione era “via da”, perché ero stanco di dipendere dal fumo. Per andare “verso” o “via da” occorre però che ci sia una ragione e quest’ultima può essere determinata da due condizioni: o la disperazione, che nasce da situazioni limite che forzano il cambiamento (per esempio, una malattia) o l’ispirazione. Il mental coaching  aiuta le persone a trovare ispirazioni molto forti per potere cambiare».

Quali sono i benefici che si traggono dalla gestione del cambiamento?

«Migliora la qualità della vita nel lungo termine, perché richiede uno sforzo  e un impegno per realizzarsi. Il cambiamento porta con sé una grande lezione di vita che ci riporta in connessione con l’elemento che noi, dalla nascita, dimentichiamo di avere: siamo l’unico essere dell’universo cui è stato dato il dono di potersi evolvere e migliorare costantemente. I benefici del cambiamento sono quelli legati direttamente a un’azione che produce un effetto immediato, come smettere di fumare, e, contestualmente, all’insegnamento che si trae dall’essere riuscito a compierla, una lezione potente che alimenta l’autostima. Se si riesce a raggiungere l’obiettivo, si diventa consapevoli di arrivare anche ad altri e, quindi,  di potere crescere ulteriormente. L’uomo è l’unico essere sulla terra ad avere questo privilegio».

Come si fa emergere la motivazione? 

«La motivazione emerge perché la persona intravede un realistico beneficio realizzabile. Non basta il desiderio. Quando un individuo identifica un obiettivo deve essere aiutato a trovare una strada semplice e praticabile per poterlo raggiungere, occorre cioè una strategia. Chi è capace di motivare una persona deve sapere dare una visione e offrirle gli strumenti perché creda di avere la forza e la capacità di arrivare a quello specifico traguardo. Questo è il lavoro che deve fare il motivational coach. Nel mio caso, ad esempio nel programma “stile di vita”, offro un percorso che inizia con un webinar motivazionale gratuito aperto a tutti (www.6più.it) all’interno del quale do alcuni strumenti per affrontare il cambiamento. In altre parole, aiuto le persone a capire come funziona la mente nella costruzione di un’abitudine e quali sono i meccanismi automatici dell’inconscio che, tendenzialmente, innescano grosse resistenze al cambiamento. Il mio compito è spiegare perché tutto ciò avviene, dando ai singoli la possibilità di capire nel profondo i meccanismi che fanno scattare queste difese, per non doverli più subire in modo inconscio, ma guidarli sapendo di poterli controllare. Oltre a ciò, offro la possibilità di avere alcune guide per iniziare a correre da zero, intercalando la corsa con il cammino, rendendo l’attività piacevole. Le guide sono volutamente cartacee perché sono digital-detox e permettono di concentrarsi sui contenuti, senza essere distratti da continue sollecitazioni che si hanno quando si è di fronte a un Pc, un tablet o uno smartphone. Infine, c’è anche un libro per cambiare lo schema nutrizionale e un altro libro per tonificare il corpo con gli elastici. Sono tutti strumenti semplici, perché il cambiamento comporta già uno sforzo e non si deve sottrarre ulteriore tempo ed energia: si corre, ma con gradualità e con i tempi che ciascuno si dà. I mutamenti devono avvenire passo dopo passo, perché le abitudini che, con il passare del tempo, si sono sedimentate nella nostra mente, non si cambiano di colpo, altrimenti il nostro cervello ne soffrirebbe. L’elemento fondamentale, per un motivational coach, è fornire sempre le spiegazioni su ciò che si fa, affinché non sia percepito come un ordine che, in quanto tale, fa scattare le resistenze».

Come si esce da quella che lei chiama “la gabbia mentale” per affrontare le novità?

«La gabbia mentale è fatta di meccanismi automatici, che il nostro cervello costruisce nel tempo, che ci convincono che è normale non muoversi. La chiamo “gabbia” perché limita le possibilità di miglioramento effettivo delle nostre condizioni di vita, attraverso, appunto, meccanismi difensivi antichi, gli stessi che proteggono la vita dalla morte e tengono lontano dalle sofferenze ma, contestualmente, limitano le nostre aspirazioni. Lo fanno proiettando una serie di ragioni, motivazioni, pregiudizi che scattano per proteggere l’individuo dalla potenziale sofferenza provocata dalla mancata realizzazione di un’aspirazione. Sono processi che puntano a non farci soffrire, piuttosto che a essere felici, ma con il risultato finale di farci soffrire nel tempo». 

Chi sono le persone che devono essere motivate per farsi del bene? In linea di principio, tutte?

«Poiché l’uomo è l’unico essere presente sulla terra ad avere il privilegio di evolvere, non vi è alcuna persona che non sia motivata a ottenere qualcosa di più, tranne quelle illuminate totali. Vi sono sempre ambiti della nostra vita in cui si può migliorare, tanto che anche chi svolge la mia professione, che si occupa di motivare gli altri a ottenere il meglio, si avvale a sua volta dell’aiuto di terzi. Un coach motivatore, infatti, non è un individuo che ha qualcosa in più o migliore rispetto agli altri, ma colui che ha gli strumenti per aiutarti a guardare le cose distaccandosi dai meccanismi ancestrali presenti nel nostro cervello, che sono quelli che ingannano».

Il cambiamento riguarda la persona, ma non può essere isolato dal contesto che la circonda. Come interagiscono questi due mondi?

«L’uomo vive all’interno di un ecosistema e, quando cambia abitudini, genera un impatto su ciò e chi lo circonda: la famiglia, il mondo del lavoro, le relazioni interpersonali. Il cambiare condividendo il processo con chi sta intorno all’individuo è un elemento funzionale su cui, ad esempio, baso una delle mie strategie motivazionali più potenti: si comincia a mutare stile di vita cercando qualcuno che sia disposto a condividere lo stesso percorso, facendolo diventare più forte. Certo, migliorare la qualità della vita, come tornare in forma o mangiare meglio, crea fenomeni di sabotaggio da parte di chi ci circonda. Costoro sono chiusi all’interno delle loro “gabbie mentali” e si sentono messi in discussione. Il cambiamento ha sempre un impatto sul mondo esterno ed è per questo motivo che è meglio circondarsi di persone migliori di sé, che possono essere fonte di ispirazione. Un gradissimo formatore, “Jim” Rohn, diceva che noi siamo la media delle cinque persone che frequentiamo di più». 

Quest’anno abbiamo visto in ambito sportivo alcuni risultati strabilianti. Come si motiva un atleta e come lo si porta al successo?

«Io sono stato il mental coach di Annalisa Minetti, la cantante che ha vinto una medaglia alle paralimpiadi. Le motivazioni che muovono le persone hanno schemi abbastanza simili, ma quando  si parla di un atleta le leve e gli strumenti che si mettono in campo sono di livello più sofisticato. Ciò avviene perché si tratta di un professionista che ha già scelto un percorso sportivo, una persona che ha già fatto scelte coraggiose nella vita e si è messa in discussione, con una motivazione di base molto forte. Sembra assurdo, ma una delle leve più efficaci per motivare un atleta professionista a vincere è allenarlo a perdere perché, di solito, il raggiungimento di un grande successo è il risultato di sconfitte che devono essere metabolizzate e superate, perché fonte di ispirazione per migliorarsi. La sconfitta, per un atleta, diventa così un privilegio straordinario per capire come progredire, una lezione che insegna la necessità di seguire un percorso in cui ci si perfeziona. Se un atleta riesce a fare proprio questo modo di pensare, allora avrà grandi possibilità di diventare un campione. Egli va aiutato a capire che corpo e mente si allenano costantemente, quindi se la sconfitta diventa un lezione, si mettono in moto le strategie che lo fanno migliorare.  Contestualmente, ogni successo deve essere metabolizzato allo stesso modo, per capire che cosa si è fatto bene, perché la consapevolezza va allenata costantemente».

Quanto pesano l’atteggiamento mentale e la preparazione fisica per il raggiungimento di un risultato?

«Pesano tantissimo e quello mentale è fondamentale, direi imprescindibile. Il nostro corpo è una macchina che si perfeziona in base alla richiesta, ad altissima adattabilità, ma le risposte che si ottengono da esso nutrono le convinzioni della mente e questo fatto genera un ciclo virtuoso che si autoalimenta».

È la fiducia la parola chiave per raggiungere un obiettivo?

«Al 100%! Ho aiutato 20 mila ex-sedentari ad appassionarsi alla corsa o al cammino grazie a un metodo che motiva le persone e dà a loro strumenti semplici per raggiungere l’obiettivo. L’elemento chiave è che la mente avrà la fiducia di farlo, perché la motivazione da sola non basta».

 

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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