Sempre più strategici nei portafogli
Le strategie tematiche hanno acquistato un ruolo di maggiore rilievo all’interno delle decisioni di asset allocation. Come considerare questa tipologia di investimento e quali sono le implicazioni in termini di rischio e rendimento per un portafoglio è un argomento di discussione che merita attenzione. A parlarne è Alessandro Marolda, solutions strategist di Natixis Investment Managers.
Qual è il ruolo, all’interno di un portafoglio, dei fondi tematici?
«Si può affermare che, generalmente parlando, costituiscono le componenti satellite di un portafoglio “core”, ma a Natixis Investment Managers riteniamo che la loro funzione stia mutando e stia assumendo un maggiore peso, che va oltre la necessità della mera diversificazione. Pensiamo, infatti, che possano assurgere sempre più al ruolo di generatori di alpha sganciandosi completamente dai benchmark di riferimento e dalle vecchie logiche di costruzione di un portafoglio. Si tratta di fondi azionari dai quali, vista l’asset class di appartenenza, ci si attende un analogo rapporto rischio/rendimento e un apprezzamento del valore del sottostante nel lungo periodo. Fatta questa doverosa premessa, è necessario superare una difficoltà di integrazione dei prodotti tematici con la restante parte degli investimenti. Ciò è ascrivibile al classico modello con cui vengono ancora costruiti i portafogli per la clientela, dove l’allocazione geografica gioca un peso significativo, perché è il risultato della composizione degli indici di mercato con cui la performance del portafoglio viene misurata. Il prodotto tematico non risponde a questa logica, perché l’obiettivo finale è investire nell’azienda che meglio risponde alla soddisfazione delle esigenze che un trend sottende. Se, infatti, all’interno dell’indice Msci World il peso del mercato americano è preponderante, attestandosi attorno al 60%, non è detto che valga la stessa percentuale per un prodotto tematico. È quindi indispensabile pensare a una struttura di portafoglio all’interno della quale il fondo tematico abbia la sua valenza, che venga valutata con parametri diversi e più flessibili nel rispondere alle esigenze del singolo investitore».
Ciò significa che questa tipologia di approccio in qualche modo ostacola l’integrazione del fondo tematico all’interno di scelte di asset allocation?
«Non necessariamente, ma in passato c’è stato questo bias nell’approccio a volere fare rientrare gli investimenti azionari in aree geografiche che avessero come riferimento un benchmark che era, in questo senso, fortemente connotato. Nel fondo tematico, ciò che conta, e mi si scusi il gioco di parole, è il tema in cui si decide di investire e non l’area geografica. Sono prodotti trasversali che, in quanto tali, hanno l’obiettivo di cogliere le opportunità ove esse si presentano. Il doverli poi ricondurre a riferimenti geografici non è un approccio che è utile a considerarne il potenziale e a decidere il peso da attribuire a essi».
Ma proprio per questo motivo l’investimento tematico offre diversi vantaggi…
«Sì, ma è la ratio di fondo che va pienamente compresa, perché serve a capire meglio il prodotto. In un mondo sempre più globale, nonostante le disquisizioni in merito alla possibilità di una minore dipendenza delle singole economie dai mercati esteri e alla nascita di forme di protezionismo, comprare, ad esempio, un titolo come Apple, per quanto sia una società domiciliata negli Usa, non significa essere esposti solo alle dinamiche del mercato americano. Il bacino di Apple è il mondo, in particolare la Cina, mercato importante per le vendite dei suoi telefonini, ma anche area di approvvigionamento della componentistica. Puntare su Lvmh non significa avere un’esposizione alla Francia, bensì al mercato del lusso e alle sue dinamiche a livello globale. Investire avendo come parametro un indice generico, che riflette la capitalizzazione dei mercati, non offre sufficienti informazioni per capire esattamente le dinamiche delle singole imprese e la loro capacità di generare utili».
Quindi su che cosa ci si deve concentrare quando si decide un investimento?
«Bisogna guardare ai trend di lungo periodo, dove vanno i consumi, come l’evoluzione tecnologica rende accessibili nuove funzionalità, come il cambiamento climatico apre opportunità. E poi, ovviamente, bisogna focalizzarsi sulla qualità delle singole aziende».
Quindi sempre meno importanza alla collocazione geografica?
«C’è molta letteratura accademica che dimostra ampiamente che non vi è alcuna correlazione tra l’andamento del Pil di un paese e quello del mercato azionario di riferimento. Se si parte da questa considerazione di fondo, allora diventa più che mai necessario trovare modalità per capire come sia opportuno allocare il rischio».
I classici indici azionari, da questo punto di vista, possono essere fuorvianti?
«Se diventano l’assioma di riferimento per un consulente finanziario, lo potrebbero diventare. Prendiamo l’S&P 500 e l’Eurostoxx: non rappresentano solo due aree geografiche, ma, per la loro composizione, rispondono a dinamiche riconducibili a diverse tipologie di equity: il primo è più rappresentativo, per i titoli che lo compongono, delle azioni growth, mentre il secondo lo è di quelle value. Ed è da questo tipo di riflessioni che emerge la forza dell’investimento tematico, per sua stessa natura cross-border».
Ma qual è la differenza tra un fondo settoriale e uno tematico?
«I fondi settoriali, molto diffusi negli anni ’90 e sino agli inizi del 2000, non hanno avuto successo nel tempo per la loro specificità che li faceva considerare piccoli mattoncini con cui costruire un portafoglio. Se l’idea in sé poteva apparire interessante, richiedeva di avere una forte view sul settore specifico e, probabilmente, rendeva molto più complessa e impegnativa la definizione di una strategia di investimento. Oggi esistono ancora all’interno delle diverse gamme di prodotti, ma sono molto limitati. I fondi tematici, invece, sono trasversali e non solo perché, come si è già affermato, investono globalmente (così avveniva anche per i settoriali), ma in più settori e l’elemento che fa da traino è il tema. Succede così che, se si investe nella robotica, piuttosto che nell’intelligenza artificiale, l’universo investibile abbraccia più settori che rendono possibile la realizzazione del tema indicato. Inoltre, e non è un aspetto da sottovalutare, sono commercialmente più facili da consigliare a un cliente, perché comprensibili, toccano argomenti ampiamente discussi e sono oggetto di dibattito pubblico. Se si affronta il tema della sicurezza, per fare un altro esempio, si abbracciano più comparti: dalla sicurezza informatica, alla sicurezza delle risorse idriche, a quella legata alle calamità naturali. Al risparmiatore cui vengono proposti risultano quasi argomenti, se non noti, già sentiti, verso i quali sono magari maturati una particolare sensibilità e un certo interesse. Inoltre, incorporano, al loro interno, il cambiamento sociale in corso e quindi è più facile che, anche da un punto di vista valoriale, l’investitore vi si riconosca».
Quindi ritiene che, da questo punto di vista, il successo dei fondi tematici sia ascrivibile anche a un cambiamento dell’atteggiamento del risparmiatore?
«Sono fenomeni difficili da leggere, dove la percezione non deve essere assunta a spiegazione di ciò che avviene. Per questo motivo, abbiamo deciso di utilizzare alcuni sondaggi condotti proprio con la finalità di comprendere i cambiamenti sociali in corso. Lo abbiamo fatto nei confronti dei millennial e i risultati emersi sono interessanti. Il primo su tutti è che questa fascia della popolazione percepisce il portafoglio d’investimento come un prolungamento di sé stessa, uno strumento in cui vedere riconosciuti i propri valori. Non vuole investire in temi in cui non credono e che non sono di loro gradimento. Si è di fronte a un cambio di prospettiva significativo dal quale bisogna trarre un insegnamento, soprattutto quando bisogna relazionarsi con la clientela: i valori di riferimento della singola persona avranno sempre più un peso nelle decisioni d’investimento, un’inclinazione che diventa una linea di demarcazione rispetto alle generazioni precedenti. Per i millennial non c’è distinzione tra valori e portafoglio: è forse questa una delle spiegazioni per cui, oltre alla scelta dei singoli temi, c’è una connotazione chiara di questi prodotti che incorporano al loro interno i criteri Esg come elementi di integrazione all’analisi finanziaria tradizionale nella definizione di un portafoglio».
I fondi tematici sono una soluzione d’investimento di natura più tattica, magari nati dalla necessità di lanciare un nuovo prodotto sul mercato, o possono essere uno strumento con una valenza strategica nella costruzione di un portafoglio?
«Occorre fare un’attenta analisi e capire se un fondo tematico guarda al futuro o ripropone modalità che lo ancorano al passato. Per capirlo, ed è ciò che noi facciamo all’interno di Natixis Investment Managers, ritengo che sia necessario condurre due tipi di analisi: una qualitativa e l’altra quantitativa. Per quanto riguarda la prima, bisogna chiedersi come questi prodotti si sono comportati sul mercato e se si è registrata una loro outperformance. In caso affermativo, si deve indagarne le ragioni. Se emerge che sono riconducibili a una coralità del portafoglio, si ottiene l’indicazione che il trend rappresentato è attuale. Se, invece, l’outperformance deriva da un solo subsettore o da alcune azioni, allora il segnale è che la base del trend non è solida. Prima della Grande crisi finanziaria, i titoli del settore immobiliare americano, Reits compresi, avevano riportato un forte trend al rialzo che è andato però indebolendosi e, da allora, non ci sono più stati segnali decisivi di ripresa. Quindi, grande attenzione alla sostenibilità e alla resilienza dell’ambito in cui si opera un investimento. All’analisi qualitativa viene poi aggiunta quella quantitativa, per capire se, quanto avvenuto, debba essere imputabile o meno a ragioni di carattere ciclico. A questo proposito, alcuni fattori, come ad esempio il beta, vengono raffrontati a parametri di carattere macro, quali il Pil, l’inflazione, i tassi di interesse. È dall’insieme di questi due approcci che si può comprendere l’andamento futuro di un trend. Abbiamo applicato questa analisi al tema della sicurezza ed è emerso che non solo quest’ultimo ha una scarsa correlazione con il Pil (in questo caso specifico Usa), ma in termini borsistici ha fatto meglio, nel tempo, dell’Msci World Index, così come di tutti i suoi sottosegmenti, anche se non in modo omogeneo. Questo comportamento indica che si è di fronte a un trend con buone prospettive future».
Quanto è importante la diversificazione tra i fondi tematici?
«Molto, perché la concentrazione può comportare rischi e, per tale motivo, è meglio avere tante piccole “scommesse” all’interno del portafoglio. I temi sono riferiti a trend di lungo periodo e, quindi, è normale aspettarsi anche fasi di volatilità. Di solito, sono prodotti che hanno dimensioni relativamente contenute, così come il numero di titoli che ne compongono l’universo. Di conseguenza, generalmente il beta dei prodotti è più elevato di quello del mercato, anche perché c’è in aggiunta un rischio specifico strettamente legato al tema. Tuttavia, va sottolineato che, durante il Covid, questi fondi sono stati meno volatili. Infine, è bene ricordare l’importanza dell’orizzonte temporale, perché i trend identificati possano mettere a segno un’outperformance rispetto a un generico indice di riferimento. Ci sono temi che, proprio perché proiettati nel futuro, hanno bisogno di tempo per produrre risultati. Si pensi che, solo ora, dopo vent’anni, stiamo assistendo alle performance generate dalla diffusione di internet».
All’interno dei fondi tematici c’è una preferenza di stile di gestione?
«Teoricamente non dovrebbe esserci, ma all’interno dei tematici c’è una predilezione per lo stile growth e quality, nonostante quanto affermato in precedenza. Il focus, infatti, dovrebbe essere molto più concentrato sulla tipologia della singola azienda e sul suo modello di business che la rende particolarmente interessante e allineata al trend identificato».
Il vostro approccio all’universo dei fondi tematici rivela la particolare attenzione con cui guardate a questi prodotti. Come condividete con gli investitori e i consulenti le considerazioni che ha esposto?
«Noi mettiamo diversi servizi a disposizione dei consulenti finanziari, come, ad esempio, quello di “Portfolio clarity”. Si tratta di un servizio di consulenza di portafoglio attraverso il quale figure professionali specializzate forniscono un’analisi obiettiva del portafoglio agli investitori alla ricerca di un approfondimento, utilizzando strumenti analitici sofisticati per identificare e quantificare le fonti di rischio e di rendimento. Il team di Natixis Portfolio Clarity lavora con i consulenti di tutto il mondo per aiutarli ad analizzare e comprendere meglio i loro portafogli modello. Inoltre, come Team Solutions, prestiamo molta attenzione all’educazione finanziaria e alla formazione, legata anche ai nostri prodotti, perché vogliamo che gli investitori possano prendere le loro decisioni in modo consapevole».