Dare un nome ai nostri soldi
Stéphane Vacher, Responsabile Comunicazione Private Gruppo Credem
Non possiamo continuare a guardare un mondo che cambia con gli occhiali del passato. È indubbio che le trasformazioni in atto nelle nostre società sono le più profonde e veloci che l’umanità abbia mai conosciuto. Veloci perché la globalizzazione e la tecnologia hanno reso ormai interconnesse tutte le zone del pianeta; tra il battito della farfalla in Giappone e l’uragano nei Caraibi possono passare soltanto pochi giorni, o poche ore. Profonde, perché riguardano molte sfere delle nostre vite quotidiane, dell’economia e della finanza.
Facciamo qualche esempio. Le dinamiche demografiche vedono la popolazione mondiale crescere a un ritmo molto sostenuto, ma estremamente eterogeneo: il pianeta toccherà tra qualche giorno la soglia degli 8 miliardi, ma la popolazione italiana potrebbe ridursi del 30% nei prossimi 50 anni. Il mondo invecchia a nord, mentre la pressione della natalità rimane molto forte a sud. Stiamo consumando molte più risorse naturali di quelle disponibili: al nostro ritmo attuale di produzione e consumo ci servirebbero già quasi due pianeti per soddisfare i nostri stili di vita (2,5 se sul globo fossimo tutti italiani e cinque se fossimo tutti americani!). Il punto di non ritorno climatico potrebbe essere vicino, mentre si sta lavorando ad hamburger fatti con la carne delle zanzare. Insomma, sul versante dello sfruttamento del pianeta bene, ma non benissimo.
Parlavamo di tecnologia: il microchip della tessera del supermercato ha una memoria superiore all’intera Silicon Valley di 30 anni fa e i nostri figli passano in media quattro volte più tempo con sconosciuti su Facebook che con i loro coetanei e genitori a tavola messi insieme. Non siamo qui per giudicare della bontà etica dei cambiamenti in atto. Ma per misurarne l’effetto sulle opportunità e sulle minacce per i nostri risparmi. Non possiamo continuare a indossare (soltanto) gli occhiali dell’asset allocation classica (monetario/obbligazionario/azionario) per osservare il mondo di oggi o, peggio ancora, per immaginare quello di domani.
Per tale ragione abbiamo deciso di dedicare questo numero di Be Private alla “nuova frontiera degli investimenti tematici”. Perché se è vero, com’è vero, che andiamo verso un mondo più green, più digitale, più inclusivo, più mobile, più veloce, a guida più asiatica, ne dobbiamo anche trarre le conseguenze sul versante dei nostri investimenti. Ciò non significa che le categorie economiche e finanziarie abbiano perso ogni validità. La remunerazione della liquidità, le dinamiche di finanziamento delle aziende, le correlazioni geografiche o settoriali continuano certamente a essere animate da logiche prevalentemente macroeconomiche. Motivo per cui l’allocazione strategica delle risorse patrimoniali deve continuare a seguire il faro delle asset class così come le conosciamo. Ma non possiamo ignorare la forza dei megatrend che abbiamo appena evocato.
C’è anche un altro motivo per dare una connotazione maggiormente tematica ai nostri portafogli: fare sì che i nostri risparmi assomiglino di più alle persone che siamo. Un conto è puntare in modo freddamente razionale sull’obbligazionario governativo dei paesi emergenti, un altro è decidere per motivi etici di non investire in paesi che sfruttano il lavoro minorile. La scelta di alcuni temi di investimento nella costruzione dei propri portafogli consente di avvicinare la finanza al vissuto delle persone. Di raccontare storie che coinvolgono le proprie esperienze di vita e la propria soggettività. Di dare un nome ai nostri soldi.
In questo numero cercheremo di fare una panoramica sull’attuale scenario, individuando quanti e quali “trend” potrebbero essere più promettenti nel prossimo futuro. Con l’obiettivo, come sempre, di stimolare una riflessione in più e, magari, di staccare per un attimo lo sguardo da un’attualità poco rassicurante e renderci conto che, per fortuna, il mondo non sta chiudendo.
Buona lettura a tutti!