Cinque generazioni alle spalle, ma con lo sguardo sul futuro
Donnafugata è un’importante azienda di vini che si identifica in modo profondo con il proprio territorio di appartenenza: la Sicilia. L’impresa è nata da un’iniziativa di famiglia che ha saputo rinnovare lo stile e la percezione del vino siciliano nel mondo. Be Private ha incontrato José Rallo, amministratrice delegata di Donnafugata.
Lei rappresenta la quinta generazione di una famiglia con un lunga tradizione. Che cosa ha permesso questa continuità all’interno della vostra società?
«Nel 1990, io e mio fratello Antonio siamo entrati in azienda, offrendo le nostre competenze ed energie a una realtà imprenditoriale che ha innovato la percezione dei vini siciliani. Lui è un enologo e agronomo e riveste il ruolo di supervisore della produzione e dell’attività commerciale, mentre io mi occupo della comunicazione e ho l’incarico di seguire l’attività di marketing e di comunicazione. Oggi, insieme, guidiamo una squadra di persone orientata all’eccellenza. Con la nostra attività trasmettiamo l’amore e la cultura del vino, uno dei valori del nostro family business e lo facciamo abbracciando la sostenibilità in cui crediamo fortemente e per la quale possiamo vantare 30 anni di buone pratiche. In azienda non usiamo diserbanti e concimi chimici, produciamo energia pulita, viene calcolata la water e carbon footprint e puntiamo a salvaguardare il paesaggio e la biodiversità, valorizzando le varietà autoctone. Dialoghiamo anche con l’arte, dove Donnafugata trova un modo di essere che la rende speciale e le nostre etichette rappresentano un tratto identitario. Consideriamo parte integrante del nostro ruolo di impresa collaborare e coordinarci con i produttori di vino di qualità, per la promozione e la crescita del vino siciliano e italiano nel mondo: definirei questo approccio un modo sartoriale di operare, con molta cura ai dettagli. Ecco, nel raccontare le caratteristiche della nostra realtà, penso di avere offerto gli elementi che spiegano la continuità dell’attività negli anni, che si basa su valori condivisi nel fare impresa, grazie all’innovazione, alla passione e alla visione di lungo periodo che ci rendono unici e distintivi. Il mondo cambia ed è necessario, oltre a coglierne le trasformazioni, essere sempre pronti con le strategie giuste. Vogliamo rappresentare nel mondo l’eccellenza artigianale e creativa del made in Italy ed essere un’azienda familiare in moto perpetuo, esempio di una Sicilia del vino autentica e sostenibile».
Come è cresciuta negli anni Donnafugata?
«Come famiglia del vino, siamo nati nel 1851, sulle orme di produttori inglesi. Le cantine storiche di Marsala sono divenute nel 1983 il cuore pulsante di una nuova realtà imprenditoriale: Donnafugata. Mio padre, Giacomo Rallo, quarta generazione di una famiglia con oltre 170 anni di esperienza nel vino di qualità, ha fondato l’azienda insieme a mia madre Gabriella Anca Rallo, pioniera della viticoltura in Sicilia. La società si è fatta portavoce della diversità del territorio vinicolo siciliano, di straordinarie potenzialità. Nel 1989 Donnafugata è giunta sull’isola di Pantelleria con l’obiettivo di produrre uno dei vini più apprezzati al mondo: il “Ben Ryé Passito di Pantelleria”, frutto di un processo assolutamente innovativo e massima espressione del fare sartoriale che ci contraddistingue. Nel 1994 è nata la prima etichetta d’autore, “La Fuga”, una vera e propria rivoluzione. Il 1995 è stato la prima annata del “Mille e Una Notte”, una pietra miliare sul cammino dell’azienda. Dal 2002 Donnafugata ha innovato il modo di raccontare il vino con Donnafugata Music &Wine, un progetto di degustazioni musicali. Due nuove tenute, una sull’Etna e l’altra a Vittoria, sono state inaugurate nel 2016: una scelta che valorizza territori e vigneti unici con piccole produzioni di pregio. Dal 2020 ha avuto inizio una partnership con Dolce&Gabbana, da cui è nata una collezione di vini ambasciatori della Sicilia. Attualmente siamo presenti in cinque territori, che vanno dalla Sicilia occidentale a quella orientale, dalla sud orientale alla nord orientale. Si tratta delle tenute Contessa Entellina, Pantelleria, Etna, Vittoria e delle cantine storiche di Marsala».
Nella vostra attività avete sempre mostrato molta attenzione per il territorio e la sua valorizzazione. È stata una scelta strategica?
«È il nostro modo di fare impresa. Le produzioni sono collocate in diverse parti della regione e, per questo motivo, ci sentiamo di rappresentare la Sicilia intera. I temi del vigneto e del territorio di pregio, insieme a quello del vitigno autoctono, sono per noi aspetti che danno valore non solo alla nostra azienda, ma anche agli altri produttori che sono presenti nella stessa area e che possono trarre esempio dalla presenza di Donnafugata con la sua qualità e il suo marchio. Con la nostra attività, riusciamo a promuovere un intero territorio e lo facciamo nell’interesse e a vantaggio di tutti, anche per quei giovani imprenditori all’inizio della loro attività. Penso che sia un bel modo di pensare a un’azienda, che non vale e non può valere solo per sé».
Quali sono le figure professionali, esterne all’azienda, che vi hanno accompagnato nella crescita?
«Abbiamo una mente aperta, che ci porta a cercare, là dove non abbiamo competenze interne o vogliamo un confronto, contributi professionali e di esperienza che possono venire da fuori. Abbiamo avuto grandi enologi del calibro di Giacomo Tachis, che ha creato con mio padre il già citato “Mille e una Notte”, ed esperti di comunicazione che ci hanno affiancati. Nella parte amministrativa gestionale ci siamo valsi della consulenza di professionisti in materia fiscale, finanziaria e di diritto del lavoro. Nel 2008, con il fallimento di Lehman Brothers e lo scoppio della crisi finanziaria globale, abbiamo deciso di creare un comitato di gestione, a fianco al consiglio di amministrazione, dove abbiamo riunito il meglio di queste competenze. Tra queste, c’era Vittorio Ruggieri che si occupava della parte finanziaria e ora è diventato presidente del Cda di Donnafugata. Penso che quest’ultimo sia stato un passaggio interessante, che racconta l’importanza che attribuiamo alla governance aziendale per un’impresa familiare di medie dimensioni».
L’espansione dell’azienda ha comportato anche una più articolata gestione del vostro patrimonio?
«In questi quasi quarant’anni, ci siamo impegnati in una direzione: fare marchio, produrre reddito e lasciarlo interamente in azienda. Ciò ci ha consentito di crescere abbastanza velocemente. Grazie all’affermazione del brand, gli attuali tempi di incasso dei pagamenti sono ben al di sotto della media di mercato: circa 80 giorni, contro una fascia, per l’industria, che va da 120 a 180. Siamo così riusciti, grazie alla qualità e alla consistenza del marchio, a generare un cash flow che oggi riesce ad autofinanziare investimenti di circa 4 milioni di euro all’anno. Abbiamo una posizione finanziaria netta, in passato assestata molto vicina al fatturato, che oggi rappresenta meno del 30% del fatturato stesso, che sarà di circa 34 milioni di euro alla fine di quest’anno. Questi anni di pandemia, nonostante i problemi creati a livello generale, per noi hanno prodotto risultati straordinari: nel 2021 abbiamo registrato un fatturato del +100% rispetto a cinque anni fa. Ritengo che questa performance sia stata possibile grazie alle politiche commerciali, alla serietà, al mantenimento del livello dei prezzi e all’impegno che abbiamo messo nel sostenere la nostra forza vendita, che era in notevole crisi con l’industria dei servizi di ospitalità e ristorazione. Abbiamo in questo modo deciso di stare vicini ai nostri partner, con una seria politica di incentivi. La nostra è stata una decisione guidata dalla volontà di prestare molta attenzione al territorio e, di conseguenza, ai nostri stakeholder».
Quali sono le esigenze che vorreste fossero soddisfatte in termini di consulenza finanziaria?
«Abbiamo diverse competenze interne, che ci hanno permesso di approvvigionarci dei mezzi finanziari ai costi migliori e di customizzare la loro struttura, ad esempio con un allungamento della scadenza del debito. È stata un’operazione non particolarmente difficile, visto che siamo un’azienda solida e ciò facilità le relazioni con un istituto finanziario. Un tema molto importante per le aziende del nostro settore è il capitale circolante, che, nel nostro caso, non è costituito tanto dai crediti, visto il livello di cash flow che generiamo, bensì dal magazzino. Per offrire un esempio concreto di questo aspetto, basti pensare che Donnafugata ha più di 1.600 barrique con vino di pregio che sta in affinamento per circa 15 mesi e un magazzino con una presenza sempre maggiore di bottiglie, che rimangono in cantina per uno-due anni, prima di uscire sul mercato. Tutto ciò deve essere finanziato adeguatamente, senza ricorrere a forme di credito a breve scadenza. Devo dire che il sistema bancario ha capito questa nostra necessità e siamo riusciti a trovare finanziamenti ad hoc per le diverse tipologie di attivo. In sostanza, abbiamo bisogno di avere controparti flessibili, che comprendano le nostre necessità e, di conseguenza, offrano una serie di servizi adeguati».
Per quanto riguarda l’attività di corporate finance, quale servizio di advisory vorreste che vi venisse offerto da una private bank?
«Come priorità, noi abbiamo sempre bisogno di un servizio corporate di alta qualità. Pensando a una private bank, oltre ad aspettarmi una maggiore flessibilità, vorrei una personalizzazione dei servizi offerti attraverso la figura di un professionista dedicato, che possa diventare una persona di fiducia con un elevato livello di riservatezza. Se dovessi pensare a un aspetto che potrebbe essere affrontato, direi la gestione del Tfr e il suo utilizzo: si tratta di un tema che un’azienda delle nostre dimensioni non può ignorare e potrebbe essere analizzato con un private banker. C’è, inoltre, la gestione della liquidità e come impegnarla in investimenti di medio e lungo termine. Poi, per un’impresa di famiglia come la nostra, c’è un altro argomento interessante che ci proietta nel futuro e che è strettamente legato alla pianificazione: il passaggio generazionale. È però necessario pensare a ciò che potrebbe succedere e con quale modalità gestire l’eventuale acquisizione di una quota da parte di un socio attraverso una soluzione customizzata per un approvvigionamento di mezzi finanziari che non pregiudichi la qualità dell’azienda. Sempre con l’ausilio di consulenti, abbiamo già riformato lo statuto, allungando i termini per la liquidazione di un socio e per il passaggio di una quota, in modo da dare tranquillità alla struttura societaria. Tuttavia, quando si parla di un’azienda di decine di milioni di fatturato e un avviamento da quantificare che può essere significativo, un struttura private potrebbe essere d’ausilio, sia nel fornire consulenza, sia nella proposta di strumenti concreti per rispondere a situazioni specifiche. Quindi, avere alcuni professionisti di fiducia che possano proporre benchmark di riferimento sui quali fare delle valutazioni comparative potrebbe essere interessante, anche per creare una maggiore consapevolezza del valore complessivo dell’impresa».
Se dovesse elencare le caratteristiche che una private bank dovrebbe avere, quali menzionerebbe?
«Alcune le ho già menzionate, ma, se dovessi condensarle in un aggettivo, direi la sartorialità, che è anche un nostro tratto distintivo. Siamo un’azienda attenta ai particolari e facciamo in modo che lo siano anche i nostri partner che, per essere tali, devono condividere il nostro stesso linguaggio. Cerchiamo sempre di spiegare la nostra cultura e la nostra filosofia alle banche che ci finanziano e sostengono nei nostri processi di investimento e di lavoro. Credo che sia fondamentale trovare sintonia sui valori da condividere, soprattutto quando si parla di temi delicati che afferiscono alla gestione dell’impresa».