Dal conflitto al dialogo
“Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” è una citazione da Leone Tolstoj che Nicola Giudice, responsabile del servizio di conciliazione della Camera Arbitrale di Milano, ama menzionare quando introduce il tema della mediazione e del passaggio generazionale. Be Private lo ha incontrato per discutere della sua attività e per approfondire le controversie che possono dividere le famiglie e porle in una situazione di conflitto durante la delicata fase di un trasferimento patrimoniale.
Quali sono i punti in comune tra il passaggio generazionale e la mediazione?
«Il passaggio generazionale interviene, almeno in teoria, per preparare la famiglia e l’impresa ai cambiamenti che accadranno nel prossimo futuro. Si tratta, quindi, di un insieme di interventi che coinvolgono aspetti economici, gestionali e relazionali nell’ottica di prevenire i conflitti o minimizzarne gli aspetti negativi. La mediazione invece, interviene quando un conflitto è già in atto e serve per aiutare tutti i soggetti coinvolti a trovare una via d’uscita soddisfacente per tutti. Anche se si tratta di strumenti che operano in momenti diversi e con scopi differenti, ci sono molti punti di contatto tra queste due pratiche ed è molto interessante notare quanto possano esserci scambi molto proficui tra coloro che se ne occupano».
Potrebbe fornire qualche dato, a livello esemplificativo, dei casi di mediazione seguiti dalla Camera arbitrale di Milano e a livello nazionale?
«In termini generali, la mediazione è uno strumento al quale le parti accedono con l’intenzione di capire se esiste la possibilità di trovare una soluzione prima di rivolgersi al giudice. Anche in corso di causa, le parti o il magistrato possono decidere di organizzare una mediazione per cercare di trovare un punto di intesa. Quando ciò accade, le probabilità che le parti raggiungano un accordo sono circa il 60-70% dei casi. Le situazioni che più si avvicinano al contesto del passaggio generazionale sono quelle in ambito successorio e quelle societarie, quando i soci sono anche coeredi. Ovviamente, queste percentuali variano molto a seconda del contesto. Quando, ad esempio, le controversie interessano, sia aspetti economici, sia personali, ed è il caso delle successioni, le possibilità che una mediazione sia positiva sono particolarmente elevate. Ciò perché, grazie a un mediatore, le persone coinvolte possono mettere sul tavolo i tanti aspetti che riguardano il loro problema: si parla quindi di diritti, ma anche di denaro, di emozioni e di guardare al futuro. Da questo punto di vista, mi pare che i punti di contatto con l’esperienza di chi gestisce il passaggio generazionale siano molti. In un certo senso il mediatore interviene nei casi in cui il passaggio generazionale non è stato fatto oppure ha avuto qualche intoppo».
Quali sono gli aspetti che emergono durante una mediazione?
«Sono diversi gli aspetti che riguardano un conflitto e che possono essere affrontati in mediazione. Vanno considerate le emozioni che ciascuno legittimamente prova e che in qualche modo condizionano la gestione della controversia. Se due fratelli si detestano, può essere importante andare alle radici di questo contrasto per capire se ciò può essere utile a trovare una soluzione per un bene più grande. Ricordo un caso in cui due fratelli, fondatori di una società estremamente florida, erano venuti a mancare nel giro di pochi anni, in modo abbastanza inatteso. Tra i rispettivi figli, eredi e manager dell’azienda, non era mai corso buon sangue. In mediazione fu necessario affrontare apertamente questi contrasti, che erano squisitamente personali, per analizzare tutti insieme quali conseguenze negative per l’intera azienda potessero derivarne. Il lavoro fu lungo e faticoso, ma determinante per creare le regole di convivenza che avrebbero consentito di gestire con maggiore serenità e reciproca fiducia gli affari della società. In un altro caso, una delicata trattativa sulla divisione del cospicuo patrimonio familiare si arenò quando uno degli eredi, un professore universitario, si lamentò perché i suoi giocattoli d’infanzia erano stati buttati via dai fratelli. Certe volte il riconoscimento delle esigenze altrui ha un peso determinante per gestire efficacemente una situazione conflittuale. Talora, poi, è salutare sollecitare un confronto che può essere anche molto duro, ma funzionale a fare emergere i veri problemi e consentire di affrontarli con maggiore consapevolezza».
Il mediatore è il manager del conflitto. Qual è il suo ruolo pre post e durante un passaggio generazionale?
«La collocazione naturale della mediazione è successiva al passaggio generazionale: avviene quando è nato qualche problema. Ritengo, però, che questo tipo di intervento possa essere efficace anche prima o durante. In effetti, ci sono situazioni di contrasto personale che vanno affrontate con competenza nell’ottica di gestire più efficacemente il passaggio generazionale. In questo senso, il mediatore di controversie assume una valenza pari a quella degli altri tecnici chiamati a dare il proprio supporto: l’avvocato, il commercialista, il notaio e altri. Aggiungerei, inoltre, che il mediatore non dovrebbe confondersi con chi si occupa della regia generale del passaggio generazionale, anche se le due figure dovrebbero lavorare a stretto contatto».
Quali tipi di conflitto emergono?
«Le ragioni economiche sono quelle più evidenti, ma spesso nascondono motivazioni più profonde, personali e collegate al ruolo che ciascuno ha in seno alla famiglia o all’azienda. Pensiamo al figlio manager che negli anni ha coltivato un futuro da leader dell’impresa ed è costretto a fare i conti con familiari che si occupano d’altro e che improvvisamente vogliono avere voce in capitolo. Anche solo la temuta e la teorica minaccia allo status quo e al nostro futuro possono sollecitare frizioni importanti».
Come si trasforma il conflitto in un dialogo?
«Difficile sintetizzare in una risposta quella che è probabilmente la più importante delle competenze del mediatore. Semplificando, si può dire che in realtà il dialogo non è il fine, ma il mezzo, è lo strumento che porta la controversia da una situazione di scontro a una di collaborazione. Lo stesso conflitto non deve essere visto come una condizione in assoluto negativa: se ben gestito, può diventare una risorsa formidabile per mettere in evidenza i punti deboli del rapporto e aiutarci a gestirli in modo differente».
Potrebbe fornire alcuni esempi di casi da lei seguiti?
«Ho avuto la fortuna di seguire molti mediatori all’opera nel corso degli anni e gli esempi che mi vengono in mente sono il risultato di un approccio che varia molto a seconda della figura del professionista coinvolto. Ricordo un caso in cui un erede, seduto al tavolo della mediazione, se ne stava volutamente in disparte, commentando ironicamente quanto diceva la sorella minore, seduta all’altro lato del tavolo. Un atteggiamento decisamente poco collaborativo e indisponente anche agli occhi di uno spettatore neutrale. A un tratto, sbottò: “Io a questa qui le ho fatto da padre!” riferendosi a quando i genitori avevano vissuto un lungo periodo di problemi economici e di salute. “Ed eri il mio eroe!” rispose lei di rimando. Uno scambio di battute repentino che ha cambiato il quadro complessivo. Questo implicito riconoscimento di un passato comune in cui fratello e sorella erano uniti nell’avversità consentì di cambiare il tenore dell’incontro, che si fece via via più collaborativo e proficuo. Altre volte esiste un problema di fiducia mal risposta. Due fratelli avevano ereditato la società e la successione era stata completata senza troppi intoppi. Era però sorta una questione sulla proprietà di un quadro che si trovava nell’ufficio dell’uno e poi era stato trasportato in casa dell’altro. Trattandosi di un dipinto di esiguo valore e di nessun pregio artistico, il mediatore chiese ai legali delle parti se esistesse una ragione più profonda di questo dissidio. Il quadro, emerse successivamente, era originariamente nell’ufficio del fondatore. Dopo gli spostamenti seguiti alla sua scomparsa, il fratello che era diventato amministratore delegato della società e socio di maggioranza, non accettava che quel quadro fosse finito nella mani dell’altro fratello, quasi che costituisse ai suoi occhi il simbolo dell’autorità in azienda. Si tratta di elementi che a occhi esterni possono apparire di dettaglio e di nessun rilievo, rispetto alla posta in gioco. Eppure, proprio come l’umanità dei protagonisti genera i contrasti, così può contribuire a gestirli in maniera funzionale. Un ultimo caso, che ricordo sempre con particolare interesse, riguardava due soci–fratelli che non perdevano occasione per aggredirsi, fortunatamente solo a parole, rendendo impossibile un confronto in mediazione. Grazie a un delicato lavoro svolto anche in sessioni separate e impiegando diverse settimane, il mediatore riuscì a ricreare un clima di reciproca fiducia che cresceva nel tempo. All’ultimo incontro, un fratello interruppe l’altro per dirgli: “Non andare oltre, ho capito dove vuoi arrivare e già ti dico che sono d’accordo con te”. La direzione del vento era mutata e le parti dal conflitto perenne erano passate alla reciproca fiducia. Quello che può sembrare un miracolo è in realtà il frutto di un lavoro attento e meticoloso, svolto dal mediatore insieme a parti e avvocati. La stessa logica di collaborazione che, peraltro, deve caratterizzare anche un efficace lavoro sul passaggio generazionale».