Esg, gradito soprattutto dai giovani
Una ricerca di Credem e dell’Università Milano Bicocca
Paolo Zulian, responsabile del private banking di Banca Euromobiliare e dell’area Nord-Ovest del Gruppo Credem
Dal punto di vista del consulente finanziario, qual è il messaggio più significativo che emerge dalla ricerca?
«Vorrei fare innanzitutto una premessa: credo molto a questo tipo di analisi, perché ritengo che possa fare emergere molti spunti interessanti. Ciononostante, mi chiedo sempre quanto le domande e le risposte di queste ricerche siano veramente aderenti alla quotidianità. In altre parole, sono le domande, così come sono formulate, a guidare le risposte? C’è un condizionamento implicito che deriva dall’argomento trattato? Io ho, come riferimento, un bacino abbastanza ampio e significativo, perché coordino circa 170 persone, tendenzialmente molto senior, e ho anche la fortuna di incontrare molti clienti. Devo dire che la sostenibilità è maggiormente percepita dai consulenti piuttosto che dai risparmiatori: in altre parole ho l’impressione che sia un tema calato dall’alto, più indirizzato a sensibilizzare gli addetti ai lavori che i clienti. Detto ciò, bisogna fare un inciso: quando parlo di investitori mi riferisco a un gruppo composto soprattutto da persone di età avanzata, che hanno a disposizione grandi patrimoni e che non rivelano particolare sensibilità sul tema della sostenibilità, mentre diverso è l’atteggiamento riscontrato nei figli e nei nipoti appartenenti allo stesso nucleo familiare. Questa considerazione mi fa dedurre che, forse, oggi stiamo preparando gli operatori del futuro per essere pronti ad affrontare adeguatamente il tema con le nuove generazioni. Le ragioni possono essere diverse, ma direi che le discriminanti sono l’età e la formazione culturale».
Quindi, dal suo osservatorio, l’età è un fattore che incide sull’inclinazione a considerare gli investimenti Esg?
«Direi di sì. Se guardo alla generazione anagraficamente più giovane, sia tra i miei colleghi, sia tra i clienti, vedo che c’è una grande attenzione nei confronti degli aspetti sociali e ambientali, in altre parole si guarda la “S” e la “E” dell’acronimo. Diverso, invece, l’atteggiamento di un campione analogo, ma con un’età media più elevata, che si concentra invece sulla governance. Credo che questa differenza di approccio possa essere spiegata dall’esperienza e dall’età: le generazioni più attempate guardano con grande attenzione agli aspetti gestionali di un’impresa, perché sono guidate dal pragmatismo e dalla grande enfasi posta sull’ottenimento dei risultati, tangibili e riscontrabili in tempi anche relativamente brevi. È una questione di carattere culturale e di vita vissuta».
Ciò richiede, quindi, anche una grande attenzione da parte del consulente finanziario, quando affronta il tema degli investimenti sostenibili.
«Certamente, perché le diverse età richiedono un approccio differente. Se ci si interfaccia con persone molto senior, parlare di principi può non trovare un terreno d’ascolto fertile ed è meglio fare riferimento a elementi reali, perché il vissuto le ha portate a concentrarsi sugli aspetti pratici della vita. Per chi, invece, si rivolge a un pubblico più giovane, confrontarsi sugli ideali, gli obiettivi futuri per realizzare una crescita sostenibile trova interlocutori più disponibili all’ascolto. Nel nostro lavoro di consulenti finanziari, dobbiamo parlare con più generazioni contestualmente. Può capitare che ci si trovi a contatto con tre generazioni all’interno della stessa famiglia: i grandi vecchi, i figli, che magari hanno superato i 60 anni, e poi i nipoti».
Si tratta quasi di gestire un passaggio generazionale….
«Sì, un passaggio generazionale di mentalità e di approccio che sono completamente diversi. Non è possibile consigliare la stessa soluzione finanziaria al nonno e al nipote, senza tenere in debita considerazione la diversa prospettiva con cui i singoli guardano al futuro, i loro valori e il loro modo di agire. Non siamo dinanzi ad aspetti di carattere tecnico o tecnologico, bensì di contenuto. Le persone più in là con gli anni hanno magari visto la guerra, il boom economico, l’austerity: si tratta di vita vissuta che ha forgiato la loro prospettiva sul mondo e che, per quanto possa avere alcuni punti di incontro con quella delle persone più giovani, è intrinsecamente diversa. Il lavoro del financial advisor è cogliere queste differenze e capire come veicolare al meglio un messaggio che, da alcuni, può essere percepito come completamente nuovo. Oggi viviamo in una società che è molto più fluida e intercettarne le dinamiche è basilare per costruire relazioni».
È peraltro vero che, di fatto, la governance è forse il grimaldello attraverso il quale realizzare gli obiettivi legati alla “S” e la “E”, quasi un ponte che unisce da un punto di vista valoriale le diverse generazioni.
«La generazione più adulta è molto più concentrata su valori tangibili, le altre più su valori che potremmo definire, anche se il termine non è appropriato, “intangibili”, perché indirizzati a un cambiamento del modello economico e sociale del mondo. Questi ultimi, se osservati in un lasso di tempo breve, possono sembrare o irrealizzabili o inefficaci per la loro mancanza di adeguatezza ad affrontare le situazioni correnti, ma talvolta è solo una questione di tempo, altre volte di rivedere le modalità con cui sono stati esplicitati in soluzioni concrete. È un confronto dialettico tra old e new economy, tra valori del passato e quelli del presente: dinamiche note, ma che devono essere profondamente comprese. Inoltre, e non è un punto di vista che va ignorato, investire in prodotti Esg significa adottare un orizzonte temporale di lungo periodo, una decisione che non sempre incontra il favore degli investitori più anziani, più inclini ad avere risultati nel breve. E poi bisogna essere anche lungimiranti, cioè pensare di fare qualcosa che abbia un ritorno i cui benefici non sono necessariamente fruibili da chi compie un’azione, bensì da chi verrà dopo di lui».
Dalla ricerca emerge che la competenza del consulente sui prodotti Esg ricopre un ruolo decisivo. Qual è la sua lettura in merito?
«Credo che sia importante avere valide competenze tecniche, ma, alla luce di quanto sinora argomentato, ritengo che sia fondamentale avere le soft skill per comprendere le caratteristiche del cliente. La formazione è decisiva per svolgere il nostro lavoro, ma il vero compito del consulente è aiutare il risparmiatore a capire i cambiamenti in corso e portarlo a considerare diverse soluzioni d’investimento, come quelle legate alla sostenibilità. Occorrono, quindi, le conoscenze tecniche, ma da sole non bastano: è la capacità di generare empatia che permette di costruire una relazione solida e creare un rapporto fiduciario. Penso che il consulente finanziario del futuro, se mai continuerà a essere chiamato in questo modo, dovrà sommare in sé diverse competenze che non saranno solo di natura tecnica. La mia è una professione che dovrà nutrirsi di continue contaminazioni per riuscire a relazionarsi nel modo più completo con i clienti».
Pensa che l’introduzione della Mifid II possa essere un incentivo per i prodotti Esg?
«Penso che l’introduzione della sostenibilità all’interno di un questionario da sottoporre ai clienti vada considerata in modo positivo, perché dà rilevanza all’argomento e lo rende visibile. Sarà importante, ovviamente, capire come la normativa sarà esplicitata e come verranno formulate le domande da sottoporre al cliente. A tutto ciò vanno aggiunte la preparazione del consulente e la sua capacità nel fare comprendere le ragioni e le finalità della normativa stessa. Ma, regolamentazione a parte, penso che sia necessario un lavoro di sensibilizzazione sulla sostenibilità molto più ampio, che parta dal basso e serva a fare cultura in materia, anche nei confronti di quelle fasce della popolazione che, magari per limiti legati all’età, non vengono raggiunte da determinati messaggi».
Che cosa si aspetta che possa fare il Gruppo per cui lavora per incentivare gli investimenti Esg?
«Io lavoro in un Gruppo che è molto attento alle questioni legate alla sostenibilità e che ha fatto e sta facendo molto. Non si tratta di confezionare i prodotti, ma di fare “vivere” la sostenibilità all’interno dell’azienda. Mi aspetto, in merito, non solo un’attività informativa e formativa nei confronti dei dipendenti, ma penso che questa scelta si debba estrinsecare anche nella definizione delle linee guida per la gestione dei clienti. Poi, c’è un altro aspetto: verificare se i consulenti hanno veramente le attitudini e le capacità per capire che si è di fronte a un cambiamento e per agire di conseguenza. Fa parte della nostra attività proporre strategie di investimento, ma, una volta collocato un prodotto, è fondamentale l’attività di post-vendita, soprattutto quando si tratta di investimenti Esg. Bisogna rendicontare e spiegare al cliente dove sono stati collocati i suoi risparmi e quali impatti hanno generato, in modo trasparente, senza fermarsi al semplice rendimento del fondo. Anche su questo tema bisogna fare cultura».