La banca in un mondo che cambia
Intervista a Paolo Magnani, Vicedirettore Centrale e Coordinatore Area Wealth Management Gruppo CREDEM
Si sente sempre più parlare di disruption, di cambiamento. Ne discutiamo con Paolo Magnani, Vicedirettore Centrale e Coordinatore Area Wealth Management del Gruppo CREDEM, per capire come tutto ciò si possa applicare al mondo della banca e degli investimenti.
Il cambiamento ci circonda. Anche nel campo degli investimenti oggi non basta più collocare un buon prodotto, ma è necessario seguire il cliente a 360 gradi. Qual è la sua interpretazione di consulenza patrimoniale evoluta e quali pensa che siano i vostri punti di forza?
«In questo contesto così globalizzato e veloce credo che sia necessario provare a cambiare l’approccio al cliente, consapevoli che il mercato dovrà passare da una logica di collocamento di prodotti a una consulenza vera e propria. Da molto tempo si parla di consulenza patrimoniale a 360 gradi e devo constatare che è un obiettivo ancora lontano da raggiungere, perché il sistema fatica a modificare il tradizionale approccio. Penso che sia necessario un cambio di mentalità: ascoltare le persone e riuscire a instaurare una relazione che faccia emergere i loro reali bisogni. Un processo lungo e delicato che non può essere delegato, né a una scheda tecnica di profilazione, né a un colloquio formale che rischia di essere percepito come un mero esercizio burocratico. Bisogna da un lato fare emergere le esigenze dell’investitore attraverso un percorso chiaro e strutturato, dall’altro mettere a disposizione del consulente finanziario gli strumenti per potere offrire soluzioni ad hoc. Proprio per questo motivo, diventa importante creare un’interazione tra la piattaforma di servizi e prodotti che possono essere offerti dalla Banca e la domanda che proviene dal cliente, raccogliendo le informazioni necessarie per conoscerlo come persona, capirne il contesto familiare e le caratteristiche del suo patrimonio. Questi dati sono importanti perché sono input che, una volta elaborati, aiutano a formulare soluzioni adeguate e personalizzate. Per certi versi è come quando si finanzia un’azienda: bisogna conoscerne a fondo la struttura, il business e la situazione prima di formulare le proposte più adatte. Il nostro obiettivo è offrire un servizio e non solo un prodotto. La nostra proposta si concentra sulla parte finanziaria, dove disponiamo da tempo di strumenti evoluti, e sulla consulenza patrimoniale attraverso la nostra Sim (Euromobiliare Advisory Sim). Risulta abbastanza evidente che stiamo parlando di un lavoro corale che supporta il consulente ex-ante, nel durante ed ex-post. Lavoriamo con i nostri professionisti anche nella fase relazionale con il cliente, perché il percorso di consulenza comporta anche lo sviluppo di competenze soft come empatia e ascolto».
L’innovazione digitale e la tecnologia stanno rivoluzionando i modelli di business delle aziende, ma il capitale umano, la sua formazione, le interazioni, lo sviluppo e la ricerca di competenze rimangono elementi imprescindibili per la crescita. Qual è la sua opinione e quali sono le iniziative del suo gruppo in merito?
«Per noi il capitale umano è importante e, proprio per questo motivo, abbiamo impegnato molte risorse nella formazione. Mettiamo a disposizione dei consulenti un’offerta formativa non solo su argomenti di carattere tecnico, ma anche su temi legati alla relazione, quali la gestione di un incontro o la parte emotiva che ne scaturisce. In questo senso la finanza comportamentale gioca un ruolo importante. è un processo determinante quello che abbiamo deciso di intraprendere, che ha lo scopo di sostenere e rendere sempre più consapevoli i nostri consulenti, affinché possano agire in modo proattivo e sinergico con le strutture che la banca mette loro a disposizione. è un progetto di lungo respiro, che richiederà anni per concretizzare un vero e proprio cambio di mentalità e cultura. L’emergenza legata al Covid ha sicuramente dato una forte spinta a modificare le modalità con cui ci si relaziona alla clientela: la digitalizzazione dei processi ha permesso di continuare la nostra attività e ha insegnato a utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per interagire con le persone. L’utilizzo delle video-call, i webinar, la web collaboration sono tutte modalità che ci hanno permesso di mantenere solida la relazione con gli investitori anche in un periodo così difficile come quello che stiamo ancora purtroppo vivendo. In sintesi, è cresciuta la percentuale di clienti che si confrontano con il consulente e con la banca in modo digitale, ma il contatto umano, a mio modo di vedere, rimane al centro anche perché chi investe ha comunque bisogno di relazionarsi con un’altra persona quando si parla di consulenza…indipendentemente dal mezzo con cui lo fa».
Parlando di disruption viene anche da pensare al private equity, a quell’universo di nuove realtà che partendo da un’intuizione possono creare qualcosa di innovativo. Ritiene che sia un mondo da monitorare costantemente alla ricerca di società in cui investire? Pensa che sia utile anche alla clientela cogliere questa opportunità?
«Noi abbiamo iniziato a investire in questa asset class già molti anni fa. Siamo convinti che, in un’ottica di diversificazione, la presenza di private asset in un portafoglio sia importante. Sono due i motivi che ci portano a questa affermazione. Il primo è che questi investimenti, con una gestione oculata, svolgono una funzione di diversificazione e decorrelazione all’interno di un portafoglio e aiutano il cliente a comprendere e gestire il giusto orizzonte temporale di un impiego di capitale. Il secondo è che favoriscono l’economia reale, in cui noi crediamo molto, sostengono le imprese nella crescita e sono una fonte di finanziamento, soprattutto in un contesto che, visto il deterioramento nel tessuto economico causato dalla recessione, potrebbe vedere il mondo bancario assumere un atteggiamento di maggiore cautela sui finanziamenti alle società. Inoltre, crediamo che in Italia ci siano tante piccole e medie aziende che rappresentano vere e proprie eccellenze, che meritano di essere sostenute e costituiscono valide opportunità di investimento. Ci tengo inoltre a sottolineare che, sempre per l’importanza che diamo alla formazione dei nostri consulenti, abbiamo definito una collaborazione con docenti del Politenico di Milano proprio sul tema dei private asset».
In base anche a dati recenti, si rafforza la propensione, sia delle famiglie italiane, sia delle imprese, a lasciare la liquidità sui conti correnti. è probabilmente il risultato del timore per il futuro, ma c’è anche il rischio di perdere opportunità di investimento. Che cosa ne pensa?
«è un tema molto sentito in questo periodo, anche perché le somme di liquidità raggiunte sui conti correnti sono veramente molto importanti e ciò non avviene solo nel nostro paese. L’eccesso di cash non è un fenomeno nuovo, diciamo che con il Covid si è accentuato perché le persone hanno paura di ciò che potrebbe succedere e quindi risparmiano, spendono meno e soprattutto non investono. La volatilità e le oscillazioni di mercato portano i risparmiatori a provare paura e ciò “frena” la loro attività sui mercati. Si guarda al futuro con incertezza e soprattutto si ragiona “con la pancia” e con l’emotività, specie quando la volatilità è molto accentuata. Leggevo in alcuni sondaggi condotti in Usa che il 69% di coloro che hanno ridotto drasticamente i rischi nelle proprie posizioni a marzo del 2020, all’inizio della pandemia, ha dichiarato di essersi pentiti della decisione presa. In quel caso hanno realizzato perdite importanti e sono ancora adesso in attesa del momento giusto per rientrare sul mercato. Nel frattempo il recupero delle borse è stato molto importante. Se poi aggiungiamo che nell’attuale contesto i tassi sono vicini allo zero o in alcuni casi addirittura negativi, aumentare l’esposizione della componente azionaria nei portafogli è un valore per il cliente, naturalmente in base al suo profilo di rischio. Ci sono diversi prodotti interessanti sul mercato e anche noi ci stiamo attivando su questo fronte. Nei prossimi mesi lanceremo un fondo Eltif gestito direttamente da Credem Private Equity e un fondo di private debt in collaborazione con un partner esterno».
Il tema della sostenibilità è diventato un mantra per tutte le aziende. Come lo vede declinato all’interno del suo gruppo? Sostenibilità e innovazione devono andare di pari passo?
«Ho insistito molto perché all’interno del Gruppo partisse un progetto sulla sostenibilità che non fosse una semplice operazione di marketing, ma avesse radici più profonde. è proprio per questo motivo che abbiamo iniziato un percorso di transizione per l’integrazione dei criteri Esg, partendo dall’area Wealth Management del Gruppo e cioè da Euromobiliare Advisory Sim, Euromobiliare Asset Management e Credemvita, che ci ha portato a rivedere completamente il processo di investimento. In questa direzione abbiamo lanciato un progetto che prevede il raggiungimento di una serie di obiettivi nell’arco di tre anni; siamo stati affiancati da un advisor, come Raiffeisen Capital Management, che ha una lunga esperienza in questo campo. La scelta è motivata dalla volontà di trovare un partner che abbia solide competenze in materia di sostenibilità e che sia vicino al nostro mondo e Raiffeisen raccoglie in sé queste caratteristiche. Tra gli accordi presi c’è anche una rotazione di personale tra i due Gruppi, così da facilitare l’interazione e lo scambio di conoscenze. Abbiamo l’obiettivo di estendere gradualmente questo approccio anche al resto del nostro Gruppo. Pensiamo che non si tratti di un’opzione, ma di un percorso obbligato, al fine di creare valore per i nostri clienti e per la società in cui viviamo: è proprio per questa ragione che l’innovazione non va disgiunta dalla sostenibilità.
Il nostro obiettivo è continuare in questa direzione con le modalità e le caratteristiche che hanno sempre distinto CREDEM».
a cura di Pinuccia Parini