La longevità richiede pianificazione
La longevità sta portando diversi cambiamenti strutturali con effetti a livello economico, sociale, culturale e finanziario. Significa, a seconda delle funzioni che si ricoprono, essere chiamati a rivisitare il proprio modello di business, ripensare alla rete di servizi da offrire e formulare un’offerta culturale che tenga conto di una fascia importante della popolazione che continua a essere molto attiva e di cui bisogna soddisfare i bisogni. Tutto ciò, di conseguenza, non può non toccare il mondo del private banking che deve riflettere su come impostare la propria attività dinnanzi a una demografia che cambia. A parlare di questo tema è Giulio Carlo Dell’Amico, partner asset & wealth management lead for Italy di Kpmg Advisory Spa, società che recentemente ha realizzato una ricerca in collaborazione con l’Associazione Italiana Private Banking (Aipb) proprio sulla longevità.
Perché è così importante discutere di longevità?
«La longevità è un tema ampiamente dibattuto, viste le dimensioni particolarmente rilevanti, nonostante sia ancora perlopiù un trend sottostimato. Il fenomeno è legato all’allungamento dell’aspettativa di vita, che attualmente in Italia è di 83 anni alla nascita e di 21 anni a 65 anni. La nostra demografia è cambiata radicalmente, tanto che fino al 1974 l’anno più frequente di decesso era il primo e il problema era la mortalità infantile. Da allora, le curve si sono invertite e oggi l’età più comune di decesso in Italia è 88 anni. Questi numeri devono essere analizzati contestualmente a un tasso di natalità in contrazione, ridotto a 1,2 figli per ogni donna. Quelle descritte sono dinamiche che guidano un cambiamento demografico della popolazione nel quale crescono i longevi (over 65), che sono il 24% del totale della popolazione (previsto in aumento al 32% nel 2040). Contemporaneamente si riducono le altre corti d’età, in particolare quella legata all’età lavorativa (da 15 a 64 anni), che oggi conta 37,5 milioni di individui, attesi in riduzione a 33 milioni circa al 2040 (si tratta di una contrazione di quasi 5 milioni di unità di forza lavoro). In questo contesto cambia anche la struttura delle famiglie: quelle con nucleo vedono aumentare la copresenza di più generazioni, mentre cresce il numero di persone sole (da 8,4 milioni a circa 10 milioni al 2042). I numeri sinora riportati sono significativi ed è proprio la loro portata che impone di fare alcune riflessioni in materia, cercando di individuare non solo i problemi legati a questo cambiamento, ma anche le opportunità».
Qual è la ragione che, insieme ad Aipb, vi ha spinto a investigare il tema all’interno del private banking?
«La longevità è un fenomeno strutturale che impatterà tutti i settori: salute, immobiliare, alimentazione, cultura e il mondo dei servizi nel suo complesso, compresa la finanza e, nello specifico, il private banking. Infatti, l’80% dei patrimoni gestiti appartiene a clienti con oltre 55 anni e Aipb stima che nel prossimo decennio ci saranno 300 miliardi di euro di ricchezza che passeranno alle generazioni più giovani. Inoltre, nel 77% dei casi, si verifica un cambio di private banker: in altre parole, un’elevata percentuale non confermerà la figura professionale di cui la famiglia si è avvalsa in materia di consulenza finanziaria. Si pensi solo che ci sono nuclei familiari in cui si possono contare sino a cinque generazioni e per tale ragione avviene spesso che chi eredita potrebbe avere già una relazione con un’altra banca. Quindi, per gli istituti che svolgono questa attività si presentano due criticità: come preservare le masse gestite e come accrescerle, in un quadro generale dove i clienti cambiano».
Che cosa significa per un private banker considerare le implicazioni della longevità nello svolgimento della propria professione?
«Uno dei temi chiave, per il private banker, è che essere consapevole della longevità dei propri clienti non significa focalizzare la propria attività sulla popolazione più anziana, bensì affrontare il tema in modo trasversale e non in base all’età. Se si parla di pianificazione futura o di una decisione che riguarda tutto un nucleo familiare, non si può restringere l’attività consulenziale solo a un numero limitato di persone. Occorre, quindi, un approccio multigenerazionale, tenendo conto dei diversi bisogni e progetti di vita di tutti i componenti del nucleo nel lungo termine».
Come è percepita la longevità dai clienti?
«L’81% dei clienti private pensa a progetti futuri per sé stessi e per la famiglia, ma meno di un terzo ne parla con il proprio banker. Quest’ultimo è un aspetto molto importante, perché significa che le persone pensano al tema, ma ne discutono molto poco, mentre il 69% dei decisori finanziari non coinvolge i figli nella gestione del patrimonio. Alcuni di loro agiscono così deliberatamente, ma la maggiore parte non lo fa per tradizione, forse influenzata da retaggi culturali. Ed è proprio in questo ambito che un bravo banker e la banca stessa devono cercare di allargare il dialogo agli altri componenti del nucleo, che siano questi ultimi la moglie, i figli, i nipoti o chi altri».
Qual è invece il punto di vista delle banche private?
«Solo il 28% delle banche ha sviluppato un approccio specifico per la longevità, mentre il 65% lo fa soltanto in ottica di passaggio generazionale, aspetto in merito al quale la maggior parte degli istituti ha a disposizione strumenti per poterlo gestire, anche se spesso ciò non avviene per tempo. Inoltre, la quasi totalità dei banker (95%) chiede supporti per gestire la longevità, in termini di strumenti per potere svolgere il proprio ruolo, in particolare formazione, sostegno di specialisti, piattaforme dedicate. Ciò che emerge dalle banche è che, nonostante ci sia consapevolezza sull’importanza della longevità, non c’è ancora un approccio strutturato al tema e la pianificazione di lungo periodo è ancora un’attività molto limitata. Sono segnali che inducono alla necessità che si diffonda una nuova cultura».
Dalle analisi che avete fatto, quali conclusioni avete tratto?
«Abbiamo estrapolato cinque regole chiave per comprendere e cogliere le opportunità che la longevità presenta. La prima, come già anticipato, è un approccio strutturato ai clienti che attraversi tutte le fasce d’età e non discrimini in base alle specificità delle situazioni. Così come si deve fare prevenzione per mantenere la propria salute e benessere, allo stesso modo si deve anticipare il più possibile, nella gestione di un patrimonio, quelle che potrebbero essere le necessità future. La seconda regola, interconnessa alla precedente, è fare evolvere la proposizione finanziaria, ossia strutturare una pianificazione di lungo periodo in base agli obiettivi del cliente, perché a tutt’oggi la gestione degli asset è ancora troppo legata ad aspettative, di breve o medio termine, su come andranno i mercati. Tipicamente, a ciò, si aggiungono le eventuali esigenze previdenziali e di protezione, visto che molto spesso accade che questi due aspetti non siano presi in debita considerazione per permettere la continuità patrimoniale. Sembrerà curioso, ma c’è chi decide di fare fronte a queste necessità allocando una parte delle proprie disponibilità in liquidità da utilizzare nel caso di un evento incerto. Inutile dire che questa decisione risulta subottimale, sia in termini di protezione, sia di asset allocation finanziaria. Non va poi dimenticata l’importanza di considerare il patrimonio nella sua interezza, includendo tutti i beni che lo compongono. E, infine, è opportuno anche pensare a una serie di servizi, che non sono finanziari, ma che aiutano a realizzare progetti di vita. La terza regola è strutturare l’attività in team di lavoro multigenerazionali e multispecialistici».
Quindi più persone di diversa età e con differenti competenze che lavorano insieme?
«Sì, perché bisogna riuscire a parlare a tutti coloro che fanno parte di un nucleo familiare. È molto più efficace affiancare un banker junior a uno senior, non solo per la crescita professionale del primo, ma anche per riuscire a instaurare un rapporto con i componenti più giovani di una famiglia. La comunicazione, nel private banking, è fondamentale ed è naturale che individui con linguaggi simili per età possano avere un’intesa migliore. Quindi, è essenziale strutturare gruppi di lavoro che abbraccino diverse generazioni. In secondo luogo, è necessario che le figure specialistiche, già presenti all’interno di una private bank, affianchino in modo proattivo il team dei banker e facciano in modo che le loro competenze diventino patrimonio del gruppo di lavoro. Ciò comporta che, per fare un esempio, non si parli di passaggio generazionale quando il problema emerge, ma lo si affronti in un’ottica di pianificazione, rendendo i membri di un nucleo familiare consapevoli ex-ante di quanto avverrà in futuro».
Qual è la quarta regola?
«Un nuovo modello di ingaggio della rete, coerente con le regole esposte in precedenza: se i banker devono adottare un nuovo approccio verso la clientela, è evidente che ci debbano essere nuovi indicatori che ne misurino i risultati e che diventino parametri sui quali basare le politiche di incentivo. A oggi, in linea di massima, è la performance finanziaria il riferimento principale. Per quanto quest’ultima continui a essere fondamentale, è indispensabile che sia affiancata da altri Kpi coerenti con la pianificazione di medio-lungo periodo (ad esempio: allineamento del portafoglio agli obiettivi di lungo periodo, tasso di ingaggio dei componenti del nucleo, livello di comprensione dei bisogni e dei progetti di vita)».
Quanto ha descritto, però, comporta un cambiamento profondo all’interno di una private bank…
«E questa è la quinta regola: è necessario un programma di trasformazione della cultura all’interno della banca. Ciò significa avere una nuova narrazione sulla longevità, comunicarla a tutti i livelli, dal centro alla rete, fare formazione su questo tema e mettere a disposizione dei banker strumenti dedicati, soprattutto che puntino a sviluppare le capacità necessarie per indirizzare il dialogo con il cliente sui temi della longevità, fare emergere i bisogni reali e indirizzarli con la pianificazione di lungo periodo».
Qual è stata la reazione delle private bank alle quali avete illustrato la vostra ricerca?
«Innanzitutto c’è una generale consapevolezza che la longevità sia un tema importante, nonostante ci sia contestualmente il riconoscimento che si debba ancora lavorare molto per coglierne le opportunità e per indirizzare una pianificazione di lungo periodo. In Kpmg siamo consci, dopo una serie di incontri, che le nostre analisi comportano un importante cambiamento strutturale all’interno di una private bank, che è possibile solo se il top management decide di sposare pienamente quanto da noi proposto».