Selezionatori di eccellenze
“Noi siamo quello che mangiamo”. È una citazione del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, della metà dell’800, che sosteneva che un popolo può elevarsi migliorando la propria alimentazione. L’importanza della qualità del cibo è andata crescendo negli anni, insieme a una cultura a esso legata, che ha trovato terreno fertile in un Paese, come l’Italia, dove la tradizione e il territorio offrono eccellenze apprezzate in tutto il mondo. Be Private, ha intervistato Osvaldo Longo, ceo di Longo un Mondo di Specialità, azienda, con una storia di oltre mezzo secolo, che ha fatto dell’enogastronomia d’eccellenza la base e la forza della sua attività.
Quando nasce la vostra azienda?
«La nostra storia risale al 1961, quando mio padre, emigrato da un piccolo paese del Salento e trasferitosi nel dopoguerra a San Giorgio su Legnano (provincia di Milano), decise di aprire una fiaschetteria. Erano anni in cui il consumo pro capite di vino si aggirava intono a 120 litri all’anno, rispetto ai 40 attuali, un’abitudine che va contestualizzata al tempo di allora. Si era in pieno boom economico in una zona industrialmente ricca e l’impegno lavorativo, in media, richiedeva uno sforzo fisico importante: il vino, insieme al cibo, era parte dell’alimentazione quotidiana, alla stessa stregua del pane. Oggi bere vino è un piacere. L’ambizione di mio padre di espandersi lo portò a realizzare un piccolo centro di imbottigliamento che si ingrandì sino al 1983, quando subentrò la nuova generazione, ovvero io, mio fratello Giovanni e, in un secondo momento, mia sorella Paola: decidemmo allora di stravolgere completamente l’attività imprenditoriale».
Qual è stata la ragione di questa decisione?
«La consapevolezza che, negli anni ’80, i consumi della popolazione non solo erano cambiati, ma era mutato anche il modo di rapportarsi a essi: non bastava più offrire un prodotto, ma insieme al bene bisognava fare nascere delle emozioni. Ciò ci indusse a cambiare la nostra filosofia di vendita, allora soprattutto rivolta al mondo del vino, facendoci compiere una scelta che, strategicamente, si è rivelata vincente, anche se comportò una forte assunzione di rischio. La nostra decisione fu di selezionare piccoli produttori di vino, aziende artigianali a conduzione familiare, che offrivano un prodotto di elevata qualità. Lo spirito che ha animato la nostra decisione è diventato una connotazione che si è sempre più radicata nell’azienda e ne è tuttora un tratto distintivo: la ricerca del vino e del vinificatore che offre non solo un bene di consumo, ma presta molta attenzione alla qualità, riuscendo a creare un prodotto d’eccellenza da fare scoprire ai consumatori. Così facendo, negli anni, abbiamo realizzato una rete di contatti con queste piccole realtà, che sono diventate il nostro bacino di riferimento, per offrire qualcosa che gli altri concorrenti non avevano».
Passare dal vino al regalo enogastronomico presso le aziende è stato complesso?
«La nostra decisione di essere dei selezionatori e di farlo con le connotazioni che ho descritto ci ha sicuramente aiutati ad ampliare la nostra attività. Abbiamo deciso di ricoprire questo ruolo particolare, che richiede di essere estremamente obiettivi nelle scelte che si fanno e, di conseguenza, nel valutare un prodotto. È un lavoro che richiede tempo, perché per sapere riconoscere la qualità occorre esperienza, così come per capire se un prodotto è sostenibile rispetto all’ambiente in cui nasce. Questa consapevolezza ci ha permesso, dopo avere letto le dinamiche di mercato che vedevano una domanda crescente nella regalistica natalizia da parte delle aziende del legnanese, di offrire proposte fortemente connotate. Era il 1983 e da lì è iniziata la nostra crescita in un segmento di mercato che, oggi, rappresenta il 75% circa del fatturato di tutte le nostre attività. Il successo che siamo riusciti a raccogliere ci ha poi permesso di espanderci a livello nazionale dove, per lo sviluppo di questa attività, abbiamo strutturato una rete di venditori presenti sul territorio. Certo, non è stato facile passare dal vino al food, al dolciario, ma la nostra esperienza di azienda è cresciuta e puntiamo molto alla continua formazione delle persone che lavorano con noi. Io sono stato per 11 anni vicepresidente del Seminario Permanente Luigi Veronelli, mio fratello Giovanni, attualmente coo dell’azienda, è stato per otto anni presidente di Vinarius, l’Associazione delle Enoteche Italiane, mia sorella Paola è vicepresidente delle Donne del vino. Mia figlia Cecilia, anche lei in azienda con mio nipote Andrea, fa parte dell’Associazione dei giovani imprenditori vitivinicoli italiani (Agivi) e delle Donne del vino. Loro sono, insieme all’altra mia figlia Giulia, la terza generazione dei Longo. Non ci si inventa dal giorno alla mattina, ma si costruisce un percorso di conoscenza e apprendimento, l’unico modo di acquisire competenze, tramandarle e farle crescere, anche tra i nostri dipendenti. Oggi siamo la più grande società in Italia per il regalo enogastronomico rivolto all’impresa. Ed è proprio grazie alla nostra sempre più diffusa presenza sul territorio e alla conoscenza dello stesso che, 16 anni fa, abbiamo realizzato Fuoricasello, una guida che segnala i migliori ristoranti in prossimità dell’uscita dei caselli autostradali. È uno strumento di grande utilità quando si è in viaggio e oggi, oltre alla pubblicazione cartacea, è accessibile anche con una app. Anche Fuoricasello può diventare un regalo aziendale».
La vostra decisione è stata di diventare, di fatto, un selezionatore di nicchia?
«Poiché abbiamo sempre posto la qualità al primo posto, cercare i singoli produttori che eccellono in produzioni di nicchia è stato il modo per entrare, consolidare e, con il tempo, aumentare la nostra quota di mercato. La decisione a monte è stata di non competere sui prezzi e non puntare su una strategia legata solo ai volumi, perché l’esperienza ci ha insegnato che, per quanto si possa essere competitivi, ci sarà sempre un prezzo più basso sul mercato con cui doversi confrontare. Noi questa logica abbiamo deciso di non sposarla. Mio fratello Giovanni, in occasione di un intervento durante una lezione universitaria, definì la nostra strategia con una frase che, per quanto possa sembrare controintuitiva, ritengo molto efficace: “Complicare per competere”. In essa si spiegava quanto abbiamo intenzionalmente complicato l’attività del regalo per dare un senso al nostro ruolo. Ma proviamo a semplificare questo concetto in un esempio concreto. Se un cliente volesse acquistare un quantitativo importante di bottiglie, non necessariamente dovrebbe rivolgersi a Longo un Mondo di specialità, perché potrebbe avere la sua esigenza soddisfatta direttamente da un produttore. Diverso, invece, è se lo stesso cliente, oltre al regalare i prodotti acquistati, avesse bisogno di servizi aggiuntivi: dalla comunicazione, alla logistica e alla personalizzazione. Siamo il contrario dei prodotti che possono essere facilmente reperibili all’interno della grande distribuzione, perché vogliamo essere unici e questa strategia è ciò che ci differenzia dagli altri: noi facciamo diventare regalo un prodotto. E poi c’è un altro aspetto. La nostra ambizione di focalizzarci così tanto sulla qualità è un fattore incentivante: lo è per chi produce il bene di consumo e lo è anche per noi che lo vendiamo, perché stimola a un maggiore impegno in ciò che si fa. Abbiamo sposato questa filosofia che oggi fa parte del nostro Dna e, per fare riconoscere, sia al cliente, sia al consumatore, la ricerca che facciamo, abbiamo deciso di affiancare a ciò che vendiamo un’operazione di cultura dell’alimentazione».
Di che cosa si tratta?
«Siamo stati tra i primi a realizzare le guide alla degustazione allegate ai prodotti che vendiamo, facendo una vera propria educazione alimentare: ne raccontiamo le origini, le caratteristiche e l’utilizzo. Inoltre, sempre in quest’ottica, abbiamo anche realizzato alcuni veri e propri volumi descrittivi non solo dei contenuti dei regali di Natale, ma contestualizzandone la storia e legandola alla tradizione della regione di appartenenza. In termini forse un po’ tranchant, direi che non facciamo solo confezioni enogastronomiche, ma, cogliendo anche le necessità di chi ce li commissiona, facciamo cultura. E questo è per noi un tassello fondamentale, perché strettamente legato alla nostra politica di vendita e all’approccio al mercato. Alle nostre confezioni aggiungiamo tanta creatività, che è sempre collegata, però, alla cultura del cibo e dell’alimentazione: dalle ricette dei singoli piatti agli chef che tengono master class dedicate ai clienti. Abbiamo realizzato confezioni che puntano sul concetto di economia circolare, dove le parti rimanenti di un alimento possono essere utilizzate per creare una nuova ricetta. E, ancora, abbiamo ideato confezioni di miele per il sostegno alla moria delle api, perché la biodiversità va protetta. Inoltre, siamo italiani e abbiamo una ricchezza che il nostro territorio ci offre che merita di essere rivalutata, perché è motore di crescita e di ricchezza del tessuto economico».
All’interno della vostra impresa, oltre ai regali enogastronomici, ci sono anche altre due attività: l’enoteca e l’attività di export di vini. Esiste un filo rosso che le collega tra loro?
«Sì, la nostra storia e il nostro essere selezionatori. Abbiamo un punto vendita al dettaglio, l’enoteca Longo, che già nel 2000 era stata premiata da Franco Maria Ricci, presidente della Fondazione italiana sommelier, con l’Oscar per la categoria migliore enoteca d’Italia. Lì sono le nostre radici e lì è da dove è partito il cambiamento strategico del nostro modello di business. Ma non si tratta solo di una scelta nostalgica: l’enoteca è la rappresentazione tangibile, “brick and mortar” direbbero gli inglesi, di quella che è la nostra filosofia».
E l’attività di export?
«Anche in questo caso, siamo diventati i referenti di 40 piccoli produttori agricoli che vogliono esportare il loro vino. Il nostro cliente è un importatore dall’altra parte del mondo, che vede la possibilità di accedere, attraverso un unico canale, a un’ampia gamma di vini, di gran livello, che rappresentano tutta l’Italia».
Ma qual è il rapporto con il vostro fornitore?
«Andiamo dal fornitore e chiediamo il prodotto e, per noi, è un privilegio riceverlo, visto le frequenti piccole dimensioni dell’interlocutore. Questa tipologia d’impresa, tra l’altro, ci permette di avere un controllo quasi diretto su come vengono svolte le attività al suo interno. A volte ricopriamo il ruolo di “apripista”, se mi si permette l’utilizzo un po’ sui generis del termine, di queste realtà poco conosciute alla stragrande maggioranza della popolazione e investiamo nei loro prodotti. Ci sono molte nuove attività guidate da giovani, con tanta voglia di fare e, se rispondono ai nostri standard, siamo ben felici di poterli supportare. La cultura del cibo la si fa anche attivamente nel sostenere l’attività di nuovi imprenditori che hanno a cuore l’ambiente e propongono nuovi prodotti, siano essi biologici piuttosto che biodinamici».
A questo proposito, qual è la vostra attenzione alle tematiche ambientali?
«La nostra è un’attività a consumo energetico contenuto, ma, ciononostante, dieci anni fa abbiamo deciso di installare un impianto fotovoltaico di 106 kw, del quale una buona parte dell’energia prodotta viene rivenduta alla rete. Collaboriamo con Life Gate per compensare le emissioni di CO2 con la piantumazione di alberi e, anche in questo ambito, creiamo progetti ad hoc per singole commesse. Da anni, ormai, non utilizziamo più polistirolo, pluriball e altre sostanze inquinanti all’interno delle nostre confezioni, bensì tutti prodotti riciclabili. Tutto ciò che viene utilizzato nell’attività di confezionamento è completamente riciclabile. Sono decisioni che abbiamo preso non solo perché abbiamo raccolto un’esigenza sempre più crescente dei nostri clienti, ma anche perché abbiamo deciso di compiere una scelta valoriale: non si può parlare di qualità, se non è legata a pratiche di sostenibilità».
In tema di sostenibilità quali sono le vostre politiche aziendali?
«Ci siamo sottoposti all’audit etico Smeta (Sedex members ethical trade audit), un elenco di best practice per gli audit etici, rispondendo anche alle evoluzioni del mercato e alle conseguenti richieste che venivano dai nostri clienti. Stiamo stendendo il bilancio di sostenibilità e avremo anche un rating. I nostri key performance indicator saranno legati ad alcuni dei 17 Sdg: non lo facciamo solo perché ci viene chiesto, ma perché riteniamo che sia nostra responsabilità di imprenditori farlo. Prima ho menzionato le misure introdotte per ridurre il nostro impatto sull’ambiente, ma siamo molto attenti anche agli aspetti sociali della nostra attività e verso i nostri stakeholder. L’adesione all’audit Smeta ha visto un rafforzamento delle misure sulla sicurezza e l’ambiente lavorativo: abbiamo introdotto in azienda la figura del medico di base e forme integrative di assicurazione sulla salute per alcune categorie di dipendenti. Svolgiamo poi un’attività di sostegno presso diverse associazioni, sia nazionali, sia legate al territorio, a sostegno delle categorie più deboli della popolazione. Infine, ci siamo dotati anche di un codice etico».
Voi sostenete anche alcune borse di studio per l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Posso chiedere la ragione di questa decisione?
«Siamo soci sostenitori dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e contribuiamo a finanziare borse di studio per studenti meritevoli provenienti da ogni parte del mondo. Abbiamo deciso di farlo perché sono molte le affinità che ci legano a questa università. Innanzitutto la missione dell’ateneo, le discipline oggetto dei suoi corsi di studio e l’approccio metodologico che, per parafrasare quanto dichiarato dallo stesso ateneo, fornisce agli studenti una visione globale dei sistemi di produzione del cibo, permettendo di apprezzare la ricchezza delle diversità culturali. È un’università che, pur avendo il 70% degli iscritti provenienti dall’estero, è a misura d’uomo. E poi Pollenzo è una “nicchia”, il tipo di mondo in cui noi, come azienda familiare, ci troviamo a nostro agio e, ancora per citare mio fratello Giovanni, di recente intervenuto alla cerimonia per i sostenitori delle borse di studio dell’università, “perché ci piacciamo”».