Tanti tematici da scegliere
L’interesse da parte degli investitori nei confronti dei fondi tematici continua. A fine dicembre 2021 Morningstar contava 1.952 prodotti che rientravano all’interno della loro definizione di tematici con una raccolta netta significativa: 188 miliardi di dollari rispetto ai 139 dell’anno precedente. All’aumento delle masse in gestione ha fatto riscontro un ampliamento della scelta e, sempre nel 2021, è stato registrato un record di 589 nuovi fondi tematici che hanno debuttato a livello globale, più del doppio di quelli lanciati nel 2020 (271) (rif.: https://www.morningstar.it/it/news/220524/ha-senso-investire-in-fondi-tematici.aspx).
Be Private ne ha parlato con Domenicantonio De Giorgio, docente a contratto Financial Markets, Credit and Banking all’Università Cattolica Milano ed esperto di tematiche energetiche.
L’interesse nei confronti dei fondi tematici, in un’ottica di diversificazione dei portafogli, è in costante aumento. Quali sono le sue riflessioni a questo proposito?
«Il tema dei portafogli tematici oggi è particolarmente rilevante per il fatto che questa conformazione di portafoglio è probabilmente quella che aderisce in modo più autentico alla sensibilità crescente nei confronti degli Esg. Ciò avviene perché tra i vari modi attraverso i quali è possibile impacchettare portafogli di natura Esg la metodica principale è proprio sposare un tema sostenibile, vuoi in senso “E”, “S” o “G”. Questa adesione alla “tematicità” scaturisce dalla possibilità di aderire in maniera esplicita a uno o più dei 17 Sdg dell’Onu».
Ma l’utilizzo di criteri Esg nelle scelte di investimento è una decisione che riguarda un universo molto più ampio, che non è necessariamente caratterizzato dai tematici…
«I principi Esg, per essere declinati all’interno di un portafoglio di strumenti finanziari, richiedono l’adozione di strategie operative. La chiave tematica, in termini di sostenibilità, è quella più immediatamente comunicabile all’investitore e non lascia spazio a dubbi su quale metodologia il gestore utilizzi per assortire i titoli che compongono il portafoglio. Infatti, le maglie dell’universo tematico sono piuttosto strette e il cliente, quando aderisce a un tema in chiave sostenibile, sa esattamente come saranno impiegati i suoi risparmi. Si prenda, ad esempio, una soluzione di investimento che riguarda il processo di desalinizzazione delle acque nei paesi che non hanno un sistema di approvvigionamento idrico e che quindi hanno necessità di acqua potabile per i bisogni domestici tramite la desalinizzazione. Questo è un tema, per un gestore, molto trasparente in termini di comunicabilità verso il cliente, che, a sua volta, se decide di investirvi una parte dei suoi risparmi, lo fa senza il dubbio che il fondo possa essere utilizzato strumentalmente per operare in altri campi di investimento che non siano quelli dichiarati. Non è un caso che la caratterizzazione della tematicità dei portafogli, se intesa come adesione a uno o più obiettivi sostenibili dell’Onu, preveda di avere patrimoni netti dimensionalmente contenuti per tipologia di prodotto».
In che senso?
«Quanto più è specifico il tema, tanto inferiore è il numero di aziende che sono davvero direttamente a esso collegate. Ecco perché è evidente che, da questa prospettiva, i portafogli tematici non possono che essere dei corollari all’interno dell’asset allocation tradizionale e lo sono proprio perché sono genuinamente tali. La loro genuinità sta proprio nel fatto che le linee di investimento che si sono dati sono così stringenti da non lasciare spazio ad ambiguità. Ciò assume una valenza maggiore quando questi prodotti si dichiarano esplicitamente allineati al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile».
Ma la caratteristica sostenibile dei tematici è un tratto imprescindibile del prodotto in quanto tale?
«Non necessariamente. Mi preme però sottolineare che la narrativa dei tematici si sposa molto bene con quella dei criteri Esg. Inoltre, è bene specificare che i trend di carattere secolare, i cosiddetti megatrend, non coincidono con l’investimento tematico, ma sono un ambito entro il quale identificare aree specifiche. I temi hanno infatti confini ben definiti all’interno di un’industria, circoscrivibili a un bisogno da soddisfare o a uno dei 17 Sdg. Anche in questo caso è utile fare un esempio concreto, per sgombrare ogni dubbio. Il megatrend, per definizione, è trasversale ai temi, perché investire nell’invecchiamento demografico significa considerare più aree di intervento: la medicina, il monitoraggio remoto dei pazienti, la tecnologia, la mobilità sostenibile. Se dovessi utilizzare un’immagine, direi che i tematici popolano il megatrend come se fossero tanti silos verticali che investono in ambiti specifici. Se poi questi ultimi hanno una connotazione Esg, molto meglio, perché ciò ne rafforza la caratterizzazione».
Possiamo quindi definire i tematici prodotti satellite all’interno di un portafoglio, con un approccio all’investimento improntato alla sostenibilità?
«Sì, proprio perché non sono prodotti universali, essendo il tema definibile in senso storico, geografico e industriale. Inoltre, l’approccio Esg, che frequentemente li caratterizza, è fortemente connotato rispetto ad altri fondi più generalisti che integrano i criteri di sostenibilità con l’analisi finanziaria. In questi prodotti tradizionali, infatti, ci si può trovare di fronte a portafogli che hanno al loro interno aziende molto diverse tra loro e quindi, a volte, sono più difficili da connotare per l’investitore. Invece i tematici sull’acqua o sull’economia circolare o ancora sulla mobilità sostenibile hanno un perimetro che il gestore deve rispettare. Ovviamente, nel caso di un prodotto azionario, c’è poi ampia libertà di operare lo stock picking, ma l’obiettivo è specificato nel dettaglio a monte. Diversa è la situazione per gli strumenti obbligazionari, dove la tematicità è a essi connaturata, come nel caso dei green bond, che sono ontologicamente tematici, perché i proventi raccolti dall’emissione vanno a finanziare un progetto verde specifico. Devo dire che, in ambito azionario, da questo punto di vista i parametri di connotazione di un fondo come articolo 8 sono un po’ meno stringenti».
Tuttavia, la classificazione di un fondo come articolo 8 lascia spazi molto ampi agli asset manager, per cui è difficile per un cliente riuscire effettivamente a comprendere il grado di sostenibilità presente all’interno di un portafoglio; e ciò vale anche per i fondi tematici.
«Sono perfettamente d’accordo ed è per questo motivo che l’autentica definizione di tema è cruciale. Se parliamo di tematicità in termini classificatori (Eurosif a livello europeo, Assogestioni a livello nazionale), facciamo il classico buco nell’acqua. Per ribadire ancora il concetto, io per tema intendo che l’asset manager costruisce un tema di investimento orientato, per esempio, all’acqua, al ciclo della carta o alla gestione dei rifiuti. Da un punto di vista definitorio, invece, è chiaro che le maglie sono molto larghe ed è proprio qui che il gestore fa la differenza. È in questo ambito che va ricercata la specificità di un asset manager piuttosto che di un altro. E, per sottolineare ancora la potenzialità di sollecitare interesse nei fondi tematici, si pensi anche al consulente finanziario quando offre un prodotto al proprio cliente facendo leva sulle sue sensibilità rispetto a un determinato argomento. Certo, poi è fondamentale fare chiarezza e offrire in modo trasparente tutte le informazioni necessarie, perché oggi il risparmiatore ha zero strumenti di indagine a disposizione e si deve affidare alle categorie di appartenenza di un fondo, che rischiano di essere una mera etichetta».
E qui riemerge un aspetto sul quale è necessario fare ulteriore chiarezza, cioè come le diverse società di rating classificano la sostenibilità degli emittenti.
«Proprio per questa ragione è indispensabile che, oltre ai vari fornitori esterni, una società di gestione abbia un solido processo interno di analisi e rating».
Guardando ai tematici in termini di rischio/rendimento in un portafoglio, quali considerazioni si possono fare?
«Il fondo tematico, come tutti gli altri prodotti, ha un profilo rischio/rendimento che risulta dalle posizioni in portafoglio e che vengono riflesse dalla media, dalla varianza, dalla correlazione. Ciò che si può affermare è che, proprio per come è costruito, il tematico espone a una minore diversificazione e, in quanto tale, se il portafoglio iniziale è poco aggressivo (ad esempio è investito in Btp a un anno) e si decide di sottoscrivere un fondo sul nucleare (caso estremo), si andrà a incidere in modo netto sul suo livello di beta rispetto a quello di partenza. E poi dipende dal tema nel quale si decide di investire, le cui aziende possono avere caratteristiche tra loro molto diverse. Come sempre, non si deve generalizzare, bensì contestualizzare le decisioni assunte in base agli obiettivi che si vogliono raggiungere e alle motivazioni che spingono a compiere determinate scelte piuttosto che altre. Va ricordato, poi, che al cliente che acquista un fondo tematico è molto visibile la destinazione d’uso del proprio risparmio. Per questa ragione, è anche possibile che, per perseguire una propria aspirazione o un intento, possa decidere di accettare un rendimento inferiore. Oggi la ricerca mostra che gli investitori tra i 40 e i 50 anni sono ben disposti a rinunciare a una parte dei potenziali ritorni finanziari rispetto a prodotti generalisti».
Come spiega il successo dei fondi tematici?
«Gli investitori, quando sono a briglia sciolta, ormai hanno identificato ambiti di investimento in cui credono. Se ciò sia a torto o a ragione è la vera domanda da porsi. Parliamo, ad esempio, del movimento pluridecennale contro l’utilizzo del nucleare come fonte energetica in Europa, che è un’evidenza storica. Ora, la decisione può essere considerata folle da un punto di vista della sicurezza energetica e della diversificazione delle fonti di approvvigionamento, ma la realtà è che gli investitori un tematico sul nucleare non lo vogliono. La mia sensazione è che i fenomeni di radicalizzazione che ci sono nell’opinione pubblica costituiscano un terreno fertile per la domanda di prodotti tematici, soprattutto quando è svincolata dalla consulenza del financial advisor. Nell’ottica della facilità di comunicarne l’obiettivo, sia esso sostenibile o no, il fondo tematico ha tutte le caratteristiche necessarie e sono più che efficaci. Gli Esg oggi sono fraintesi, perché si sono sovrapposti a ciò che hanno in mente le persone qualunque. A volte gli investitori hanno sottoscritto prodotti classificati come sostenibili nei cui portafogli hanno trovato aziende che sono lontane dalla loro idea di sostenibilità: si assiste a una mancata corrispondenza tra le intenzioni del cliente e i titoli in cui il fondo investe. È per questo motivo che la qualità paga, specie in un ambito delicato come quello dei sistemi valoriali, in cui gli investitori sono chiamati in gioco in prima persona».
Fondi tematici e frontiera efficiente. Ha qualche riflessione in merito?
«La frontiera efficiente non è altro che un luogo geometrico dei punti che associa a un rendimento atteso un rischio atteso. Si possono ottenere diverse combinazioni di rischio/rendimento in base al dosaggio di elementi che possono avere un rischio elevato o esserne privi. Quindi, l’utilizzo di un prodotto tematico, in quanto tale, non altera la capacità di definire la frontiera efficiente, bensì lo fa nei confronti del set di valori che viene in essa riflesso. Il valore emotivo e il rendimento finanziario possono così diventare o partner o nemici, a seconda di come è creata questa frontiera efficiente. È proprio in questo ambito che vedo l’opportunità di un processo di miglioramento grazie ai prodotti tematici, perché ritengo che essi esaltino la visione del cliente e la allineino ai coefficienti reali di rischio che lui si accolla».
È corretto quindi dire che vede un grande nesso tra tema e cliente?
«Sì, e ritengo che sia un aspetto molto importante, soprattutto in un’epoca in cui le etichette, i valori segnalati, gli obiettivi non finanziari stanno diventando un elemento rispetto al quale le persone sono allertate e molto sensibili. Penso che viviamo in un contesto in cui pesano ormai anche i valori oltre che le sole prestazioni. Ed è per questa ragione e, ritornando alla frontiera efficiente, per la dispersione del rendimento atteso, se è ispirata da valori forti, da temi rispetto ai quali il cliente vuole esporsi, che anche il rischio percepito diventa meno violento, perché frutto di una scelta consapevole».